Sfumature di rosso

Si fa presto a dire rosso. Dipende da quale rosso. 

Rosso è il papavero, rosse sono le rose, le bacche, le ciliegie, le foglie autunnali di alcuni alberi …

Se poi mettiamo una accanto all’altra una mela, un ciliegia, una fragola scopriamo che c’è rosso e rosso, ognuno diverso dall’altro …  Lo stesso accade se mettiamo uno accanto all’altro petali di rose rosse diverse.

Poi c’è il rosso ottenuto in laboratorio, da coloranti di sintesi. Anche quello ha innumerevoli sfumature, quelle a cui siamo ormai generalmente abituati, e una storia breve (circa duecento cinquanta anni dai primi esperimenti, nella seconda metà del XVIII secolo). 

Tutti gli oggetti che risalgono al periodo precedente a quello in cui questi esperimenti si sono affermati, dando luogo alla produzione dei colori di sintesi, dalla metà del XIX sec., nei quali appare il colore rosso – qualsiasi sfumatura di rosso – opere d’arte, tessuti antichi, ceramiche, mobili, ecc. – il rosso è ricavato da vegetali o animali (la cocciniglia in particolare). Ogni sfumatura ottenuta era frutto dell’esperienza accumulata in migliaia di anni, di specializzazione artigianale e tecnologica basata esclusivamente su procedimenti naturali. 

I procedimenti messi a punto in laboratorio dalla metà del XIX secolo rappresentano lo spartiacque tra le infinite varietà riproducibili e inalterabili delle sfumature di rosso e le varietà estraibili da piante o parti di piante 8fiori, foglie, radici, cortecce). Si tratta di sfumature differenti, soggette a variazioni (con il lavaggio, ad esempio) e difficilmente riproducibili identiche. 

Il prima è il mondo della varietà ottenuta in relazione al materiale naturale raccolto (in relazione a stagione, luogo, terreno, ecc.), alla quantità utilizzata, al rapporto tra quantità di materiale e quantità di acqua utilizzata, alle caratteristiche dell’acqua utilizzata (anche queste impossibili da verificare prima della messa a punto dell’analisi chimica dell’acqua), alla temperatura utilizzata per fissare il bagno di colore, ecc. in un ambiente adatto  (bottega, casa, magazzino, ecc.)

Il dopo è il mondo della varietà riproducibile (a condizione di conoscere la formula chimica corrispondente alla sfumatura desiderata e di avere a disposizione un laboratorio chimico attrezzato). 

Chimica naturale e colore artigianale prima.

Chimica di sintesi e colore industriale dopo.

Gli effetti della prima e della seconda sono rintracciabili nell’arte, nel costume, nell’ambiente ecc. Sono effetti diversi, a tutti i livelli, e, soprattutto, a livello ambientale. L’impatto della chimica naturale è infinitamente minore rispetto a quello della chimica industriale sull’ambiente in termini di inquinamento ma assolutamente inadeguato per gli gli standard di vita raggiunti dall’umanità negli ultimi due secoli. 

Ciononostante, se è impossibile ipotizzare un mondo senza coloranti di sintesi, è possibile ipotizzare un ritorno alla tintura naturale come attività alternativa esattamente come è possibile diminuire o eliminare l’uso della plastica, utilizzare prodotti alimentari da filiera corta (ossia dal produttore al consumatore), ecc. 

Un ago in un pagliaio, sicuramente. Ma se gli aghi diventano migliaia, possono diventare un pagliaio e cominciare a fare la differenza. 

Con questa idea in mente – e nonostante sia sempre stata a contatto con i filati per i miei lavori a maglia – un giorno di oltre un decennio fa sono arrivata a Forlì dove si teneva una fiera artigianale. Avevo scoperto che esponeva, tra gli altri, Michela, in arte Rosso di Robbia, con i suoi filati tutti rigorosamente tinti con materiali vegetali. 

Inutile dire che quel giorno sono ritornata un po’ bambina. Mi sono ricordata le estati in campagna, le improbabili capanne di legno realizzate con frasche, rami, ginestre,  i giochi fatti di niente con le ghiande, le foglie, le pannocchie, le scaglie minuscole di ferro che si appiccicava al prezioso pezzo di calamita ritrovato chissà dove, recuperato dalla terra del vialetto, il mondo dei colori naturali che si appiccicavano alle mani e che non avevo mai pensato a sperimentare sui filati. 

Da quel giorno ho lavorato sempre lana di cui conosco la provenienza, tinta con colori vegetali, sperimentando le piante spontanee tra una stagione e l’altra con una serie di effetti collaterali, ivi compreso l’accumulo di avanzi multicolori. 

Quando il cesto degli avanzi si colma arriva il momento di creare qualcosa. 

È accaduto con il maglione realizzato lana in diverse sfumature da guado (Isatis tinctoria)  (Isatis tinctoria) , con un poncho in sfumature verdi (da scarti di crocus sativus)  e con maglione in rosso delle foto.

Oddio, dire ‘rosso’ per la sensibilità corrente, è forse eccessivo. Si tratta di avanzi da bagni diversi ottenuti da radice di robbia (rubia tinctorum): un primo bagno (più scuro), un secondo bagno (più chiaro). Poi, ancora due bagni, il primo e il secondo, nel precedente bagno di robbia al quale è stato aggiunto un piccolo quantitativo di legno campeggio (Haematoxylum campechianum), tanto per ottenere una sfumatura diversa con un tocco esotico (il campeggio è originario del Messico), tutti provenienti dal laboratorio di Michela, nel cuore della Romagna.

Gli avanzi non erano sufficienti per completare il maglione. Ho risolto lavorando le maniche con la lana marrone naturale delle pecore nere che ho trovato nella bottega dell’Azienda Zootecnica Gran Sasso di Giulio Petronio a Castel Del Monte (dalla quale non esco mai senza qualche matassa).

Volutamente, se scopro un errore in corso di lavorazione, non disfo il lavoro. Mi piace pensare che sia garanzia di lavorazione a mano. A chi legge il compito di scoprirlo!

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