A metà dello scorso dicembre, durante una delle ormai consuete soste in territorio francese, lungo il tragitto (con varianti) Navelli (AQ) – Londra, Amiens è stata la seconda tappa sul cammino per Calais, in una di quelle giornate invernali in cui il freddo e l’umidità si fondono e abbracciano la città, complice il fiume (la Somme) e i canali, al punto da rendere faticoso (e pericoloso) camminare.
Lungo le strade i passanti si mettono reciprocamente in guarda sul ghiaccio in formazione che permette solo passi brevi, con tutta la cautela del caso. Lungo il canale approfittiamo della striscia d’erba per procedere con più sicurezza.
Tuttavia, è impossibile rinunciare alla visita della cattedrale gotica dove indugiamo a lungo – anche per non disturbare la funzione religiosa in cui ci siamo trovati immersi – e dove il freddo si fa sentire ma dove siamo almeno al riparo dall’umidità.



Anche se non si tratta di un soggiorno ma solo di una tappa di trasferimento, è impossibile rinunciare almeno a un’altra meta, la Casa Museo di Jules Verne, originario di Nantes ma trapiantato stabilmente ad Amiens. Come si può tralasciare l’occasione di visitare la casa di uno scrittore che ha dedicato la vita ai viaggi e a scrivere di viaggio, tra realtà e finzione, tra romanzi d’avventura e romanzi fantascientifici? Anche se non è il ‘mio’ genere e pur non avendone letti molti (tra questi, ad esempio, non rileggerei Il giro del mondo in 80 giorni), subisco il fascino della ‘casa dello scrittore’ e, in genere, dei diari degli scrittori. Sono due tra gli aspetti che permettono di comprenderne la produzione.
Il percorso all’interno della casa museo è obbligato, dal pianterreno fino all’ultimo piano: ambienti perfettamente preservati e allestiti, mobili, quadri, suppellettili, soprammobili, carte da parati, caminetti, tavole imbandite e bacheche con esposizioni di libri e di copertine, di lettere e di foto, di appunti e documenti, tra cui ci si muove liberamente soffermandosi dove la curiosità e l’interesse di ciascuno suggerisce una sosta più prolungata. Ai piani superiori, la ricostruzione del ponte di comando di una grossa barca, un’esposizione di manifesti delle edizioni dei suoi libri, di penne e pennini, di oggetti disparati provenienti dai suoi viaggi (reali), oggetti di uso quotidiano provenienti da ogni dove, modelli di macchine volanti, valigie d’altri tempi come se il proprietario fosse pronto per ancora un viaggio.



Mi incuriosiscono, tra le altre, alcune edizioni di Il paese delle pellicce (Le pays des fourroures), pubblicato nel 1973, originariamente in due blocchi, decimo dei cinquanta e più romanzi di avventura scritti e pubblicati da Verne tra il 1863 e il 1905.




Una volta giunta a destinazione me ne procuro una copia (ahimè, copia digitale perché ormai gli spazi inducono a limitare per quanto possibile la versione cartacea) e mi immergo nella lettura delle quattrocento pagine e oltre. Man mano che procedo mi rendo conto di dover ricorrere alla carta geografica (uso Google Maps, un tempo avrei usato l’atlante!), mi rendo conto che si parla di zone dove ancora oggi Google Maps non arriva, che c’è alla base della narrazione un grande interesse geografico e storico e, di conseguenza, una grande attenzione per la documentazione.







I nomi degli esploratori citati nei capitoli della prima parte del romanzo permettono di ricostruire la storia delle esplorazioni delle regioni artiche (tra la metà del 1700 e la metà del 1800), con particolare riferimento ai territori canadesi ad opera di inglesi e francesi, con tutte le difficoltà del caso. L’autore si sofferma sui rifornimenti, sulle modalità del viaggio, sulla possibilità di rifornimento in loco, sull’inevitabile consumo quasi esclusivo di carne (e ai vegetali seminati in loco nei periodi di sosta (come l’acetosa e la coclearia utilizzate per l’indispensabile apporto di vitamine), sulle finalità economiche del viaggio, dell’esplorazione e della conseguente annessione delle terre in questione per conto del paese di partenza (Inghilterra o Francia) sulla cui legittimità non c’è il minimo dubbio (anche se si citano le popolazioni esquimesi locali che, in almeno un caso, cooperano fattivamente alla sopravvivenza dei protagonisti e che, tuttavia, sono ritenute naturali destinatari della corretta educazione ‘inglese’ da parte degli esploratori).




Se nella prima parte prevale l’informazione, nella seconda l’avventura del drappello di venti persone partita per fondare una base commerciale inglese all’estremità Nord del territorio canadese prende il sopravvento, con risvolti drammatici dagli esiti incerti fino all’ultima pagina.
Avrei voluto intitolare questo breve diario di viaggio, trasformatosi in cronaca di lettura, “Attualità di una lettura ottocentesca” ma, come spesso accade, ho scoperto e appuntato strada facendo altri testi non meno interessanti relativi a Jules Verne che mi suggeriscono l’idea di approfondire la questione del significato che assume leggere questo e altri viaggi straordinari in epoche diverse. C’è per esempio uno scritto di Edmondo De Amicis (non meno viaggiatore di quanto lo sia stato Verne) (Una visita a Jules Verne, 1885 pubblicato in Nuova Antologia, 1 novembre 1896); c’è un articolo di Edmondo Marcucci del 1934 (Giulio Verne nel Novecento, in Rassegna Italiana politica letteraria artistica, febbraio 1934) che, peraltro, ha dedicato un intero volume a Verne (Edmondo Marcucci, Giulio Verne e la sua opera, Dante Alighieri 1929) e ci sono, naturalmente, le edizioni attuali de Il paese delle pellicce (in italiano ma anche in inglese, francese, ecc.). Una volta che avrò avuto modo di leggerle, sicuramente la riflessione su come cambia nel tempo la ricezione di un libro dedicato a un’avventura straordinaria, nel corso di 150 e fino ad oggi, quando l’avventura, se vera, è programmata nei minimi dettagli o, altrimenti, è puramente virtuale, sarà più ricca e articolata.

- Leggendo Zena Roncada, Dal terrazzo e piccole fughe, temposospeso 2025
- Leggendo Massimo Castoldi, L’Italia s’è desta. L’inno di Mameli: un canto di pace, Donzelli 2024
- Leggendo AA.VV., Lezioni sull’antifascismo, a c. di Piergiovanni Permoli, Laterza 1960
- Giona (e Giosuè), tra Vaccamorta, Francia e Caraibi: una nuova ‘opera-mondo’ (Alessandro Marenco, Giona, temposospeso 2025)
- Contro l’obsolescenza di (alcuni) libri (parte seconda)
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