Un bottino di libri (visita al mercato dell’usato)

Il mercato dell’usato è sempre una grande attrazione, che si tratti di un piccolo negozietto specializzato o di un grande emporio che ha in mostra oggetti, mobili, capi d’abbigliamento accessori, ossia tutto ciò che nelle case viene eliminato e che viene esposto e rivenduto per chiunque pensi di poter dare all’oggetto prescelto una nuova vita. Se poi all’interno dello spazio si trova anche una scelta di libri di vario genere, per lo più accatastati in un ordine assolutamente casuale, la visita prende un significato speciale. Tra i libri che qualcuno ha lasciato andare, sicuramente si possono trovare cose interessanti: testi che ho cercato e che non ho mai trovato, testi che non conoscevo e che vorrei leggere, copie diverse di testi che ho già e che sono interessanti per le illustrazioni, per l’edizione, ecc.

Non più di una settimana fa in un mercato dell’usato che frequento a intervalli più o meno regolari, ho scoperto che la sezione dei libri era stata risistemata e, per quanto possibile, anche organizzata. Ho avuto così modo di curiosare tra gli scaffali della narrativa lasciandomi attrarre, in particolare, dai libri con l’aria più antica. Così sono entrata senza nessuna idea precisa e sono uscita con una manciata di libri. Un vero e proprio bottino che ho riorganizzato prima di tutto per data di pubblicazione, dal 1934 al 1981. In calce riporto l’elenco tanto per far capire quanto siano stravaganti, per certi aspetti distanti e per altri aspetti convergenti i miei interessi di lettura.

Il più recente, in realtà, è anche il più lontano nel tempo come composizione. Si tratta di una delle numerose edizioni di uno dei romanzi rusticani o campestri – come solitamente sono definiti – di Georges Sand. È un libro datato – George Sand lo ha scritto alla metà dell’Ottocento –, pubblicato e ripubblicato più e più volte, fino ad oggi.

Tra i libri che fanno parte del bottino con cui sono tornata a casa è l’unico che ho già letto o, meglio, è l’unico che comprende tre romanzi (Lo stagno del DiavoloFrancois Le Champi La Petite Fadette), l’ultimo dei quali è quello che ho letto agli inizi degli anni 60.

Non avrei potuto non comprarlo: ricordo l’occasione in cui l’ho letto e ricordo vagamente le impressioni che da dodicenne ne provai senza peraltro ricordare con precisione la vicenda narrata. Ricordo, questo sì, una storia di affetti familiari che si possono definire ‘sopra le righe’; ricordo un’ambientazione francese o, meglio, nella campagna francese. Ricordo che quando lo lessi non mi interrogai troppo sull’autore che, in realtà, è un’autrice che ha assunto un nome maschile per muoversi più liberamente nella società del tempo.

Per tutti questi motivi l’ho acquistato, l’ho riletto e, rileggendolo, ho ricostruito, almeno in parte,  le emozioni che ho provato allora interrogandomi sulla vicenda dei quei due gemelli identici ma differenti quanto ad aspetto, sul loro mondo e sulle loro reazioni rispetto al quel mondo e soprattutto alla vicenda – esplicita – di un nascente amore tra uno dei gemelli e la protagonista femminile, Fadette,  e su quello – solo intuibile e mai dichiarato – del secondo gemello per la stessa Fadette. Tutte cose di cui a quell’epoca non avevo la minima conoscenza diretta né tantomeno la minima informazione. Oggi rileggendolo ancora mi sono trovata a interrogarmi su che base fosse avvenuta la scelta di quel titolo da parte della ‘Befana’. Certamente, sapevo già allora che la Befana altri non era che i genitori, pur facendo molta attenzione a non far loro capire di avere capito quello che doveva rimanere un mistero per figli di genitori che non erano usi parlare molto né spiegare tante cose di cui in quel romanzo si parla (nonostante dalla sua prima pubblicazione fossero passati oltre 100 anni).

Nel romanzo tutto è giocato sul dire senza dire troppo, come era assolutamente comprensibile per l’epoca in cui l’autrice lo aveva composto, soprattutto in relazione a un pubblico di adolescenti, dando ampio spazio all’amore, suggerendo più che svelando, coniugando la nascita della passione con il doveroso astenersi dalla stessa, in vista del matrimonio (come del resto era ancora vero in quell’inizio degli anni 60).

Il romanzo è inoltre espressione di un mondo campagnolo che vive e osserva la natura da vicino, che la conosce in profondità e che nella natura vede anche aspetti che sfidano la conoscenza razionale collocandosi ai margini tra ragione e arti magiche e, comunque, nel mondo di chi ha le conoscenze e le abilità di usare ciò che la natura mette a disposizione, le erbe in particolare, per curare sulla base di una farmacopea tradizionale, tramandata di generazione in generazione, che in quel XIX secolo si andava trasferendo nei laboratori scientifici per divenire appannaggio delle case farmaceutiche.

Ricordo che proprio questo aspetto è stato allora quello che più mi ha intrigato, abituata com’ero a vagabondare per la campagna dei nonni, a raccogliere frutti, a osservare fiori selvatici e insetti, a cercare nei campi le erbe commestibili insieme alla nonna. Il mondo dei medicamenti ricavati dalle erbe e della capacità di conoscere le proprietà delle erbe per ricavarne preparati atti a curare o almeno ad alleviare il dolore mi ha affascinato allora, alle soglie dell’adolescenza, e mi ha affascinato nella rilettura odierna.

Non contenta della lettura o, meglio, della rilettura, ho fatto una piccola indagine sulle edizioni che il romanzo ha avuto dalla sua prima pubblicazione in italiano nel 1853 fino ai tempi nostri, scoprendo che è stato continuamente ripubblicato fino all’ultima edizione che risale al 2014 (cfr. elenco di seguito).

C’è senz’altro da interrogarsi sul perché del successo di un romanzo tanto datato per molti aspetti. C’è da interrogarsi soprattutto sul perché venga considerato e consigliato come un romanzo per ragazze. Se è vero, infatti, che la protagonista è una ragazza che per certi versi si colloca al di fuori della ‘buona’ società per poi entrarvi a pieno titolo proprio il nome del nascente amore e, quindi, del desiderio di farsi accogliere e di non essere considerata una maga o una strega al pari della nonna, è altrettanto vero che gli altri due protagonisti sono due ragazzi.

Forse proprio in questa divisione tra letture destinate a un pubblico femminile e quelle destinate a un pubblico maschile è racchiuso un problema ancora oggi apparentemente irrisolto: il luogo comune che ci siano letture per maschi e per femmine e che di conseguenza anche un romanzo come La piccola Fadette non possa essere letto, proficuamente, anche dai maschi. In generale, entrambi possono ricavarne elementi interessanti per stabilire se leggerlo ha ancora un senso; se ha un senso solo in quanto esponente significativo di un certo modo di fare letteratura (quello romantico) o se piuttosto non sia da liquidare definitivamente.

Dopo alcuni anni da quella prima lettura, superata la fase dell’adolescenza, degli studi liceali e dello scoglio rappresentato dagli esami di Stato, una volta entrata all’università ho proseguito in miei studi nell’ambito del mondo classico. Mi viene il sospetto che già quando lessi per la prima volta La piccola Fadette avevo avuto modo di notare alcune caratteristiche che la accomunano a Circe nell’Odissea (proposta come lettura già nelle scuole medie). Anche Circe ha a che fare con le erbe che usa per curare o incantare, come nel caso dei compagni di Ulisse. È un accostamento che dipende esclusivamente dal fatto che entrambe conoscono il potere delle erbe e possiedono l’abilità di preparare ingredienti per ottenere gli effetti desiderati.

Da questi esempi e da numerosissime altre coincidenze, traggo la certezza di aver sempre inseguito questi aspetti ‘non eroici’ nella letteratura: le attività artigianali, il mondo quotidiano, il mondo naturale in tutte le sue espressioni, ecc. che percorrono esplicitamente, in modo più o meno marginale, tanta parte della letteratura, costituendone spesso la trama e restituendoci in tal modo il quadro a tutto tondo dell’ambiente in cui le vicende sono collocate e i personaggi agiscono. Ha poca importanza che si tratti di un paese della campagna francese in una fase di grandi trasformazioni, alla metà dell’Ottocento, o che si parli della vita solitaria di una donna un po’ dea, un po’ maga e un po’ tessitrice su un’isola / promontorio della costa laziale, centinaia di anni prima della nostra era, così come ci è restituita dai versi dell’Odissea. Nell’un caso e nell’altro, sono testimonianza dell’immaginario, del piacere di narrare, della cultura spirituale e materiale dei personaggi che in questi racconti si muovono e in cui rivivono ogni volta che qualcuno li legge.

Il mio bottino 

Jack London, Fumo Bellew, A. Barion 1931

Riccardo Bacchelli, Il rabdomante ovvero quando si nasce con la disdetta, Treves 1936

Marcel Roland, Canti d’uccelli e musiche d’insetti, BUR 1951

Ernest Renan, Ricordi d’infanzia e di giovinezza, a c. di Stefano De Simone, UTET 1954

Jules Verne, Michel Strogoff, Mondadori 1971

Giovanni Bonetto, Le avventure di Ulisse. Riduzione in prosa dell’Odissea di Omero, Edizioni     Paoline 19691 ed,, 19756 ed. (con le illustrazioni tratte dalla serie televisiva Odissea, 1968)

George Sand, Romanzi rusticani (Lo stagno del diavoloLa piccola Fadette, Francois le Champi),            UTET 1981

Le principali edizioni italiane de La piccola Fadette dal 1853 a oggi         

            Società Editrice Italiana 1853

            Sonzogno 1883

            Edizioni Geos 1944

            Corticelli 1947

            Biblioteca Salani 1950

            Biblioteca Universale Rizzoli 1953

            UTET 1959

            Mondadori 1963 (quella dei miei 12 anni)

            Edizioni Malipiero 1967, 1969

            SEI 1988

Mondadori 1989

            Fratelli Melita 1992

            TEA 1992

            Neri Pozza 2014

            Rusconi 2019

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