Ci sono luoghi dove è facile intercettare storie. Gambettola è uno di questi luoghi, soprattutto durante i giorni in cui si svolge, due volte all’anno la Mostrascambio (il secondo fine settimana di maggio e il primo di settembre). L’ho sperimentato più volte: in tutto il percorso lungo il quale si snodano le bancarelle con l’esposizione degli oggetti più disparati, l’attenzione dei visitatori si sofferma su quello che colpisce la sua attenzione, obbedendo a regole dettate dagli interessi, dalle passioni e dalla curiosità di ciascuno. Ogni visitatore rimarrà incantato su questo o quell’oggetto, avrà modo di iniziare una collezione o di completare quella che già ha. L’ho sperimentato con i tessuti antichi, dai torselli agli strofinacci di una volta. L’ho sperimentato – e continuo a farlo ogni volta che ne ho l’occasione – con i libri usati …
Poi capita di trovarsi a Gambettola in un periodo diverso dalla mostrascambio, scoprendo e inseguendo altre storie. È capitato, nella stessa giornata e a distanza di pochi isolati con le oche
Oche a passeggio in un’assolata giornata romagnola
e con una merceria che sembra uscita direttamente da altri tempi, lontani almeno qualche decennio. In tempi di Mostrascambio, ci è sfuggita, pur trovandosi ai margini del percorso.
In un’altra occasione, inseguendo altro, abbiamo parcheggiato, casualmente, di fronte alla vetrina. Che dire? È bastata un’occhiata alla vetrina ricolma e siamo state risucchiate dalla porta di entrata, ci siamo ritrovate in un mondo a parte, abbiamo fatto fatica a riemergerne!



È stato un attimo. Con il pensiero sono corsa alla lampo invisibile di cui sapevo di avere bisogno. Subito dopo il pensiero si è concretizzato in poche parole all’indirizzo di Michela (queste scorribande avvengono sempre in compagnia di Michela!).
Un secondo dopo eravamo dentro, incantate davanti agli scaffali ricolmi, alle merci accatastate in ogni dove in una di quelle incredibili accozzaglie dove pensi che sia assolutamente impossibile recuperare quello che cerchi; intanto catalogavamo con gli occhi tutti il catalogabile, bisbigliando tra noi quello che immaginavamo di poter trovare in quel luogo incredibile, con la certezza che si sarebbe trovato, per quanto strano e desueto fosse.
Il proprietario era impegnato con una cliente. Noi non avevamo fretta di uscire. Potersi guardare intorno e memorizzare, intervallando ogni tanto con un – Guarda! – Guarda! era già un dono inaspettato, le cose da memorizzare infinite, l’idea di tornare alla prossima occasione ormai saldamente ancorata nella mente e nel cuore (difficile dire se e come, in questi casi, si privilegia l’una o l’altra!).



Quando infine la cliente è uscita, il proprietario ci ha accolto, gli ho chiesto la lampo invisibile che è andato a recuperare in uno dei numerosissimi scaffali ricolmi, come se fosse stata nei suoi pensieri fino a quel momento e, dunque, senza nessuna incertezza.
Non ricordo con precisione cosa abbia dato il via alla conversazione che ne è seguita. Con certezza è bastato per avviare ricordi, aneddoti, storie con tanti protagonisti e lavori di ogni tipo divenuti centro e cuore di una vita, di una cerimonia o di un ballo – sarte, merlettaie, sartine, tessuti, merletti, abiti di ogni tipo, cappotti, gonne, accomodature e riparazioni di ogni genere, abiti da ballo e abiti da sposa – .
Alcune domande, sorte spontaneamente, ci hanno permesso di avere una sorta di biografia di Dante, ossia del proprietario. Una vita da tornitore, specializzatosi in riparazione di macchina da cucire di ogni marca e di ogni dimensione … Di ognuna sa tutto e ricorda tutto, di quelle riparate e consegnate e di quelle accatastate nella bottega in un ordine che a noi sfugge completamente ma che a Dante è chiarissimo, in tutto il negozio. Tante da essere quasi una collezione. Ognuna con la sua storia e la storia di chi l’ha utilizzata per una vita.
E, come ben si sa, una storia tira l’altra al punto che facciamo fatica a staccarci e, uscendo, già sappiamo che ci torneremo, non appena ce ne sarà l’occasione. Magari un pochino più attrezzate, sapendo che c’è una miniera di storie da ascoltare e recuperare, per salvare un patrimonio fatti di punti a mano e a macchina, di quando il lavoro era artigianale, si svolgeva in casa e si basava sulla ricerca di tessuti che nascevano, anch’essi, artigianalmente, al telaio con i filati di canapa e lino coltivati e lavorati, magari, in campi non lontani da casa.



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