Kazimierz Brandys, La madre dei re, Feltrinelli 1962
Quando si entra nelle librerie dell’usato – quelle nelle quali i libri accatastati sono tanti che è difficile farsi strada e bisogna procedere con cautela per non farne crollare intere pile – capita di tornare a casa con uno o più titoli e di accantonarli fino al momento di riscoprirli.
Può capitare anche che rimangano accantonati per anni e anni e, forse, anche questa prolungata attesa ha un suo senso.

Seguendo questo tortuoso cammino, ho ripescato un testo che appartiene senza dubbio a quest’ultima categoria, al punto che riesco con difficoltà a ricostruirne la storia. Mi aiuta una dedica, completa di data (Marzo 1994). Non ho idea di chi ne sia lo scrivente né il destinatario. Peraltro, la mescolanza di italiano, romanesco e portoghese in cui è redatta, mi porta a concentrarmi sulla data. Faccio mente locale. Non c’è dubbio, appartiene al nostro periodo brasiliano dove, inutile dirlo, ho mantenuto la passione per i libri ‘vissuti’, dopo aver individuato la bottega dell’usato (in portoghese brasiliano ‘sebo’, ossia, propriamente, ‘grasso’ e, in senso traslato, ‘luogo dove si vendono libri sfogliati da tante mani, ‘sporchi’) e il relativo libraio, un po’ fuori mano, nel quartiere dove abitavamo.
Quello che ho tra le mani, di formato piccolo, è anomalo rispetto agli altri che ho acquistato, tutti in portoghese e di autori brasiliani. È in italiano, edito da Feltrinelli nel 1962. L’autore è polacco.
Un italiano – di Roma, con ogni probabilità – lo ha regalato a un’amica, segnalando che si tratta di un testo importante (da leggere al posto della novela delle 20,30, ossia quella di livello ‘alto’, sulla rete nazionale Globo) e raro. Entrambi, chissà perché, residenti in Brasile, nello stesso periodo. Evidentemente il libro non è stato apprezzato ed è finito, nuovamente, nella bottega dell’usato.
Mi interrogo a questo punto sul motivo per cui l’ho acquistato. Con ogni probabilità mi ha attirato l’edizione (è il numero 399 della Universale Economica Feltrinelli), così come, in quarta di copertina un’epigrafe in caratteri rossi più grandi rispetto alla sinossi e alle notizie sull’autore: “l’inferno degli onesti”. Forse anche il disegno in copertina dell’illustratore svizzero Heiri Steiner (1906) con in primo piano il disegno di una donna i cui lineamenti trasmettono – mi sembra – l’idea di non essere disposta a lasciarsi piegare dalla vita. La madre dei re è il titolo. L’autore è Kazimierz Brandys (1916-2000).
Indubbiamente, è arrivato il momento di leggerlo.
Lo leggo, difatti, cercando informazioni sull’autore e annotandomi gli altri suoi scritti tradotti (alcuni introvabili, al pari di quello che ho tra le mani).
La madre del titolo è la protagonista del romanzo, Lucia Krol, rimasta vedova quando il marito, in preda a una sbornia, finisce tra le ruote di una carrozza, al tempo del Maresciallo Pilsusdski (quindi, tra 1918 e il 1935), con quattro figli maschi a cui provvedere, l’ultimo dei quali di pochi mesi. La storia – o, se si vuole, il romanzo – è presto detta: è la narrazione di come questa madre cerca di sopravvivere all’accaduto e, soprattutto, di come riesce a tirare su i figli, con una sola attività da poter legittimamente svolgere – lavare e stirare i panni altrui – e tanti stratagemmi per tirare avanti, mentre i figli a loro modo crescono, diventano adulti, in un periodo non certo facile, maturando la convinzione di non contare nulla e cercando a modo loro di divenire protagonisti, finendo regolarmente per trovarsi invischiati in questioni ai margini delle norme in vigore, tra un periodo e l’altro di una storia complicata per il paese e la città in cui vivono, la Polonia e Varsavia.
I figli diventano grandi. Si trovano coinvolti in fatti di politica che la madre fa fatica a capire. Uno viene deportato, un altro finisce in galera. La stessa fine fa il più piccolo. Subiscono processi. La vicenda narrativa si mescola, inesorabilmente e inevitabilmente, con le riflessioni dell’uno o dell’altro dei protagonisti – la madre stessa ma anche avvocati, partigiani, esponenti del partito, sindacalisti, ecc. I dialoghi, i fatti, le riflessioni si confondono e sovrappongono. Il narratore conosce i fatti, i personaggi, non si preoccupa di dilungarsi in spiegazioni, quasi che il lettore sia interno alle vicende. L’autore – che ha composto la storia tra il 1956 e il 1957 – ha vissuto nello stesso luogo, nello stesso periodo, ha sicuramente conoscenza diretta di queste e di altre vicende simili a questa. È difficile capire dove finisca la riflessione di questo o quel personaggio e dove inizi quella dell’autore.
Per comprendere la storia di Lucia Krol è indispensabile fare mente locale sui fatti della storia, tra invasione tedesca (1939) e occupazione russa (1941), tra Comitato di liberazione nazionale (1944) e avanzata delle truppe sovietiche (1945). La narrazione è percorsa da una trama di riferimenti ad avvenimenti storici, tanto specifici, quanto vaghi, da essere difficilmente ricostruibili. La storia è vissuta in presa diretta, nelle vicende dei personaggi. Sono venti anni circa. Alla fine della narrazione Lucia ha circa cinquant’anni, i figli sono adulti, le fila delle loro avventure personali sono sfilacciate e difficilmente riassumibili in un quadro organico. Le discussioni, le posizioni politiche, le riflessioni, gli scontri ideologici e le azioni pro e contro questo o quello sono all’ordine del giorno. I fatti della storia citati – quelli che confluiscono nei libri di storia – sono desumibili ma raramente in modo esplicito (uno di questi è il bombardamento atomico sul Giappone, 1945). Tra i personaggi che fanno la storia di quegli anni ricorre Mussolini, ma solo come soprannome di un macellaio in cui gli acquirenti vedono una somiglianza con il dittatore italiano, e baffone (Stalin), citato proprio così, solo con il soprannome. I pro e i contro, l’essere da una parte o dall’altra degli schieramenti, sono all’ordine del giorno e difficilmente decodificabili.
Il romanzo è stato riedito, sempre da Feltrinelli, nel 1987 con una nota (“Dodici Mesi”) di Rossana Rossanda, confinato anche questo nel mercato dell’usato.
Non arrivo al punto di comprare un’altra copia dello stesso libro ma confesso che leggerei volentieri lo scritto della Rossanda. È significativo che dal 1987 non sia stato riedito. Troppo realista (espressione del realismo socialista che contraddistingue i primi scritti di Brandys, il quale se ne allontanerà definitivamente con la sua uscita dal Partito Operaio Unificato Polacco nel 1966), e troppo ideologico per un mondo che si è lasciato dietro le spalle quel periodo, senza peraltro essere in grado di fare in conti con quei fatti fino in fondo. Ossia, facendo finta a volte che nulla sia successo o che quanto è successo, sia stato un puro accidente sul quale non vale più la pena soffermarsi, studiare e discutere. Sicuramente, è un romanzo che andrebbe riletto con il supporto di un adeguato accompagnamento di contestualizzazioni (una prefazione, una postfazione, note ad hoc) a opera di studiosi specializzati e che, sostenuto da queste cornici a supporto, diventerebbe un buon punto di riferimento per documentarsi su fatti che hanno segnato il XX sec. in profondità e per farsi un’idea di cosa può avere significato vivere al centro di bufere storico-politiche in luoghi che, a distanza di sette decenni e con un mondo trasformato dal progresso, dall’economia capitalistica e dall’emergenza ambientale, si trovano oggi in una fase delicata di riequilibrio in cui sono impegnati, in questi giorni, molti capi Stato.
Leggere in generale e, in particolare, leggere anche romanzi così datati, può essere un modo per documentarsi su un passato che sembra lontanissimo ma che in realtà è distante solo pochi decenni. Trovo conferma per la lettura di romanzi come questo in un articolo di Andrea Schembari, un giovane studioso che ha lasciato la Sicilia per lavorare nel Dipartimento di Italianistica dell’Università di Stettino: Maestri del dissenso: Leonardo Sciascia e la lezione degli scrittori polacchi (Poznańskie Studia Polonistyczne Seria Literacka 39 (59), nel quale pone a confronto un racconto di Leonarda Sciascia, La morte di Stalin (in Gli zii di Sicilia, Sellerio), una “cronaca della reazione disorientata ma ancora tenacemente illusa dei comunisti italiani seguita alla divulgazione del rapporto (Chruščëv ndr.)”, con il romanzo Matka Królów (La madre dei Re) che “certifica il sorgere dei primi segnali di incertezza da parte dei comunisti polacchi post-staliniani non ancora ideologica, ma figlia di un’insofferenza crescente alle dinamiche sociali dettate dall’ideologia”.
Trovo un’altra conferma, più generale, alla lettura di romanzi in una riflessione di Mario Vargas Llosa (1936): “Un’altra ragione per assegnare al romanzo un posto importante nella vita delle nazioni è che, senza di esso, lo spirito critico, motore del cambiamento storico e miglior garante della libertà di cui dispongano i popoli, soffrirebbe un irreparabile impoverimento. Perché una buona letteratura è quella che mette radicalmente in discussione il mondo in cui viviamo. In ogni grande testo di finzione, e spesso senza che gli autori se lo siano proposto, aleggia una predisposizione sediziosa. La letteratura non dice nulla agli esseri umani soddisfatti del loro destino, pienamente appagati della vita così come la vivono. La letteratura è alimento degli animi indocili e propagatrice di disaccordo, un rifugio per chi ha troppo o troppo poco dalla vita, nel quale poter non essere infelice, dove non sentirsi incompleto, irrealizzato nelle proprie aspirazioni” (È possibile il mondo moderno senza il romanzo? In La cultura del romanzo, I Einaudi, 2001 p. 9).
L’articolo è stato pubblicato per la prima volta in Infodem.it nel febbraio del 2022

- Leggendo Zena Roncada, Dal terrazzo e piccole fughe, temposospeso 2025
- Leggendo Massimo Castoldi, L’Italia s’è desta. L’inno di Mameli: un canto di pace, Donzelli 2024
- Leggendo AA.VV., Lezioni sull’antifascismo, a c. di Piergiovanni Permoli, Laterza 1960
- Giona (e Giosuè), tra Vaccamorta, Francia e Caraibi: una nuova ‘opera-mondo’ (Alessandro Marenco, Giona, temposospeso 2025)
- Contro l’obsolescenza di (alcuni) libri (parte seconda)