Quando il turbine del trasloco ci ha travolto e, tra le altre cose, abbiamo finito di inscatolare i libri, soltanto tre titoli sono rimasti, in attesa, su un davanzale. Ne avevo appena finito di leggere uno (Bonaventura Tecchi, Un’estate in campagna (diario 1943), Sansoni, Firenze, 1945), ne stavo leggendo un altro (Mario Praz, Lettrice notturna, Gherardo Casini editore, Roma 1952) e mi ripromettevo di leggere il terzo (H. Munro Fox, La personalità degli animali, UE Feltrinelli 1955).
A scatole chiuse, nella difficile e faticosissima fase di risistemazione, Lettrice notturna continuava ad osservarmi dall’angolo dove è rimasto ignorato con la sua mole (391 pagine), la sua carta ingiallita dal tempo, il titolo che incuriosisce (e che corrisponde a uno dei testi), l’aria decisamente invecchiata di un libro dimenticato da decenni e recuperato da una lettrice accanita di libri novecenteschi scelti per capire come erano quei tempi e come sono diventati …


E cosa permette di capire meglio come erano se non un libro che contiene gli articoli – propriamente, si tratta di elzeviri, ossia articoli destinati alla pagina culturale dei quotidiani o, più semplicemente, alla terza pagina – scritti da un autore un po’ speciale come Mario Praz?
S’intende, non è un libro che si legge facilmente.
Per almeno due motivi:
- gli articoli coprono un periodo di tempo di alcuni anni (dal 1945 al 1952) ma l’unica informazione, posta a fine di ogni testo, è l’anno. Mancano, come sarebbe stato logico aspettarsi, il giorno e il mese. In assenza di indicazioni in tal senso, si può ipotizzare che la scelta degli articoli e il loro ordine interno sia dovuto allo stesso autore che li ha voluti raccogliere in volume senza curarsi di fare un lavoro filologicamente corretto ma raggruppandoli in tre sezioni di contenuto vagamente affine. Per un’analisi accurata si dovrebbe procedere ad una ricognizione nei quotidiani con cui Praz collaborava (Il Tempo, La Stampa, in particolare) reperibili in larga parte nella sezione ‘emeroteca’ delle biblioteche nazionali e/o locali. Un lavoro di grande interesse per ricostruire gli anni considerati, di grande impegno e soprattutto che richiede competenze specifiche.
- l’autore spazia tra argomenti diversi (letteratura, arte, politica, società, costume, ecc.) sempre in modo documentato, con riferimenti a libri, fatti e cose che – a distanza di decenni – avrebbero bisogno di note e riferimenti puntuali per essere intesi appieno. D’altra parte, anche senza note, stupisce la profondità dei riferimenti e delle riflessioni, se si considera la destinazione (ossia, la pagina di un quotidiano).
Così, quando ho avuto la possibilità di riprendere in considerazione Lettrice notturna che continuava a provocarmi dall’angolo in cui lo avevo confinato, l’ho riaperto e, casualmente, si è aperto in corrispondenza di un articolo dal titolo Le porcellane. Una pura casualità, certamente, ma – reduce dall’apertura di alcune scatole di vecchie porcellane – non ho potuto fare altro che riprenderne la lettura da questa pagina.
L’articolo è del 1947 e introduce l’ambiente delle aste romane e, in particolare, delle aste di porcellane, frequentate da uno scrittore famoso che colleziona porcellane, fa offerte e spesso le acquista (nell’unica nota al testo, l’autore chiarisce che si tratta di Raffaele Carrieri, 1905 – 1984). Per Mario Praz è l’occasione per introdurre note, informazioni storiche ed artistiche sulla porcellana e sui manufatti non senza lo spirito critico che lo contraddistingue, scrivendo:
“Egli ama le porcellane perché sono belle, sì, ma anche perché sono inutili. Quelle vaghe tazzine dipinte, quei piatti decorati di fiori o di cineserie, quelle cuccume dalle forme armoniose e strane, memori della discendenza cinese, tu credi proprio che uno ci beva o ci mangi di frequente, o ci abbia molto bevuto e mangiato un tempo? No, questi fiori così brillanti sono fiori di serra; e dalle vetrine e dagli scaffali le porcellane escono soltanto per discendere fra i trucioli degli imballaggi o salire sul banco delle aste; forse per qualche festività hanno anche la sorpresa di trovarsi su una tovaglia e di contenere un liquido; e devono sentirsi allora come monache che da una lunga clausura rifacciano un tuffo nel mondo. Ma son casi rari: le porcellane sono inutili”.
E ancora, dopo aver parlato delle fabbriche di porcellana europee:
“Dire che scopo degli innumerevoli servizi che uscirono da queste fabbriche fosse di servire, sarebbe deduzione arbitraria. S’usavano piuttosto per decorare, e al lato decorativo, fantastico si dedicò ogni cura. Tutto si volle di porcellana, le suppellettili da tavola e gli utensili da toletta, tabacchiere e agorai, impugnature di bastoni, fornelli di pipe, bottigliette di profumi, scatolette di cipria, e non solo sì minuti ninnoli, ma intere stanze si vollero con le pareti coperte di porcellane, perfino interi palazzi …”
E, concludendo:
“… così uscire da quella sala piena di porcellane è come uscire da una serra di rose, di piccole meraviglie estremamente labili … se poi non ripensassimo che i nostri bisnonni e i nostri nonni e i nostri padri sonoscomparsi, e questi delicatissimi fiori di caolino sono ancora qui sulla terra, coi colori brillanti del primo giorno. Perché, così fragili e inutili, queste cose han trovato grazia e meritato protezione agli occhi degli uomini, che non si sono detti ancora che tutto ciò non ha senso. Guai a loro però il giorno che se lo diranno!”.
A qualche giorno dall’apertura delle scatole e dalla sistemazione delle porcellane provenienti dalla collezione familiare e, in piccola parte, da acquisti in mercatini dell’usato, credo di poter confermare che le porcellane sono inutili.
A distanza di quasi ottanta anni dallo scritto di Praz, se possibile, ancora più inutili (in tempo di lavastoviglie, pranzi al volo, stoviglie usa e getta … e così via). Per l’uso quasi nullo che ne ho fatto in circa cinquanta anni, avrei potuto abbandonarle al loro destino, ossia finire sugli scaffali impolverati di un negozio dell’usato. Eppure, le abbiamo attentamente incartate, inscatolate e, successivamente, fatte riemergere dalle scatole e riposizionate accuratamente nella vetrina della credenza (anch’essa antica quanto basta!
Ci sono il servizio di piatti (della mamma) completo di zuppiera, insalatiera e salsiera, il servizio da the della nonna materna e quello della nonna paterna, una serie di altre zuppiere di diversa provenienza tutte rigorosamente di seconda mano e un’ancora più improbabile collezione di salsiere provenienti da luoghi e mercatini diversi. A memoria mia, non li ho mai visti usare, neppure nelle occasioni di pranzi in famiglia o in altre occasioni speciali. Sono sempre stati riposti nelle credenze delle rispettive case, distribuiti tra la parte chiusa e le vetrinette superiori.


Quindi, sono stati inutilizzati e, dunque, perfettamente inutili, oggetti puramente decorativi.
Chi li ha avuti in regalo, chi li ha apprezzati ed amati, chi li ha conservati gelosamente non c’è più … Eppure tutti questi oggetti sono ancora qui, con le loro forme (avete idea di quante forme può avere una salsiera di porcellana, ormai sostituita nell’uso quotidiano da un barattolo di vetro o, peggio, di plastica?), i loro delicati decori floreali …
Eppure, hanno un ruolo fondamentale: mantenere viva la memoria personale, familiare, collettiva (quando sono opere preziose, degne di finire nei Musei!)
Per concludere
Mario Praz (1896 – 1982), dopo gli studi di giurisprudenza, si dedicò completamente agli studi di letteratura, divenendo un anglista di grande rilievo nel panorama contemporaneo. Ha quindi insegnato all’Università di Roma e si è occupato ampiamente di arte lasciando nella sua casa romana (Museo Mario Praz) un’importante collezione di oggetti d’arredo e opere d’arte.
Da uomo di cultura e da osservatore della società dal cuore di Roma (la sua casa, oggi museo, è in pieno centro e Roma è una città che si è ampliata nel tempo senza tuttavia mai superare le barriere di censo, di cultura e di appartenenza tra le varie fasce, come si percepisce già dalla cadenza del singolo parlante, che dipende dal quartiere, non certamente dal ruolo1). Forte di una cultura internazionale, guardava al mondo da una posizione culturale che gli ha consentito di spaziare tra argomenti diversi con grande competenza e spirito critico, muovendosi tra ambiti culturali disparati, nello spazio e nel tempo.