Contro l’obsolescenza di (alcuni) libri (parte prima)

In un’epoca di sovrabbondanza di merci, esiste anche una sovrabbondanza di libri, spesso scritti e pubblicati per essere pubblicizzati e ‘consumati’ nel giro di una stagione o poco più. Quasi fossero uno spuntino, ossia essi stessi un merce deperibile.

Non sempre per il lettore / consumatore è facile orientarsi in questa pletora di titoli.

Difficilmente, il lettore / consumatore sceglie libri che non appartengono alla categoria di quelli di immediato consumo, distratto com’è – inevitabilmente – da centinaia di prodotti.

È uno dei tanti effetti del consumismo sul quale si basa l’economia di questi tempi folli che mascherano con l’abbondanza una crisi culturale sempre più evidente ed incombente. 

In questo quadro, accade che libri più impegnativi, destinati a una riflessione storica basata sulle fonti e tuttavia senza l’eccessivo appesantimento proprio di un volume accademico, divengano obsoleti nel giro di pochi anni o che, nella logica del mercato, non trovino spazio per una nuova edizione e pubblicazione.

Eppure, si tratta di libri che vale la pena leggere.

È il caso – tra gli altri – di La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico, a cura di Angelo Del Boca (Neri Pozza 2009) che contiene dieci saggi di altrettanti storici dedicati agli avvenimenti del periodo compreso tra la fine della Prima guerra mondiale e l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana (1948) e alla lettura e interpretazione di quegli avvenimenti fino al primo decennio del 2000. 

A distanza di alcuni anni, lo rileggo. Perché se leggere un libro è importante, rileggerlo può esserlo anche di più sia perché la prima lettura si è sedimentata sia perché acquista altri significati alla luce dell’obsolescenza cui il libro è stato destinato dalle logiche del mercato. Tre degli autori – Angelo Del Boca, Nicola Tranfaglia, Enzo Collotti – sono mancati, nello stesso anno (2021).

Lo leggo, come sempre, con l’inesauribile mania per i libri frutto di studio e analisi della prima metà del Novecento e per i testi letterari, anche quelli per lo più dimenticati, dello stesso periodo perché, nel loro complesso, permettono di decodificare un’epoca e di individuare la genesi di questioni attuali.

Lo leggo senza omettere le note che considero da sempre parte integrante di un testo e che, spesso, permettono di risalire a storie editoriali di altri titoli non meno interessanti di quello che si ha tra le mani. 

Trovo conferma dell’attualità del libro nelle conclusioni del terzo saggio incluso nel volume, quello di Nicola Tranfaglia, “Il ventennio del fascismo”:

“… i mezzi di comunicazione nazionale e internazionali hanno riportato sempre, e continuano a farlo anche oggi, le tesi di De Felice come quelle prevalenti nella storiografia italiana e internazionale. Ma le cose non stanno più così da tempo e non c’è dubbio sul fatto che su questioni assai centrali (che riguardano le caratteristiche del movimento fascista e la sua ascesa al potere, il sistema di potere che si afferma in Italia con il 1925 e gli anni successivi, la politica interna ed estera negli Trenta e Quaranta) le tesi che si sono affermate nell’ultimo trentennio, grazie alle ricerche archivistiche e bibliografiche più attendibili, hanno condotto la maggior parte degli storici a un ritratto più simile che ho tracciato sinteticamente in questo saggio piuttosto che a quello che emerge dalle … interviste di De Felice e dai suoi complessi, e a volte contradditori, volumi della biografia di Mussolini. Ma i mezzi di comunicazione non ne prendono atto per ragioni che attengono agli equilibri politici italiani ed europei cioè <<all’uso attuale del revisionismo>> che tende a presentare la dittatura fascista come un regime autoritario che ha sbagliato alcune mosse (come la persecuzione degli ebrei nel 1938) e l’ingresso in guerra due anni dopo ma che, per il resto, non si è allontanato in maniera sensibile da un regime liberale o pseudo-liberale. Una simile interpretazione conduce a considerare il regime fascista lontano in tutto e per tutto dal regime nazionalsocialista in Germania, a ritenere la persecuzione antisemita come un errore limitato e secondario, il totalitarismo assente in definitiva dal modello mussoliniano. E si accorda alla sostanziale mancanza di esame di coscienza che le classi dirigenti italiane, e in particolare quelle che si richiamano alla destra, hanno compiuto dopo il 1945 e ancora oggi a distanza di oltre sessanta anni sa quegli avvenimenti …” (La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico, pp. 142-3).

Trovo conferma, inoltre, dell’importanza delle note nello stesso saggio. Tra le numerose note -indispensabili per chi voglia approfondire, non per la comprensione del testo principale – trovo l’indicazione di un titolo di Gaetano Salvemini, Sotto la scure del fascismo, confluito nel terzo volume di Scritti sul fascismo, a cura di R. Vivarelli, Feltrinelli 1966, 1974, mai ripubblicato e introvabile sul mercato.

Mi metto sulle tracce di questo titolo nei cataloghi delle biblioteche. Lo rintraccio, infine, nella ricchissima Biblioteca Gino Bianco di Forlì che mette a disposizione tutti i materiali inventariati in formato digitale, uno strumento prezioso per qualsiasi lettore appassionato di storia.

Dalla prefazione risalgo alla genesi di Sotto la scure del fascismo, composto originariamente in inglese tra il 1933 e il 1935, pubblicato a Londra nel 1936 con il titolo Under the Axe of Fascim e in Italia nel 1948, in forma ridotta, adattata e tradotta da Alessandro Schiavi per i tipi della Casa Editrice Francesco De Silva e ripubblicato in versione integrale proprio nel terzo volume degli scritti di Salvemini. Una veloce ricerca online mi permette di verificare che il testo originale, in lingua inglese, è ancora disponibile in vari formati, cartacei e digitali. L’ultima pubblicazione risale al 2020. Sembrano sottigliezze ma sono fondamentali per capire la cultura in cui siamo immersi e le differenze che intercorrono tra un paese e l’altro. Non si tratta di coincidenze ma di scelte editoriali e, forse, di numeri. Quelli dei lettori.

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