Giona (e Giosuè), tra Vaccamorta, Francia e Caraibi: una nuova ‘opera-mondo’ (Alessandro Marenco, Giona, temposospeso 2025)

Dove si incrociano i destini di due fratelli: Giona, dalla vita tra boschi e prati alla vita confinata in un anfratto dove è caduto casualmente, sotto un masso inamovibile; Giosuè, da boscaiolo a seminarista, da analfabeta a lettore, da soldato a illuminista.

Alessandro Marenco affida la narrazione a Giosuè che, a seguito dell’incidente occorso al fratello, è proiettato nel vasto mondo che non avrebbe mai conosciuto senza l’evento casuale che dà avvio alla narrazione. Al contrario, il mondo di Giona rimane circoscritto all’angusto anfratto da cui è impossibile farlo uscire se non a prezzo di un intervento che la famiglia non può permettersi. Giona, peraltro, mantiene dalla cavità i contatti con il mondo esterno grazie alla parola che gli garantisce lo scambio con chi lo va a trovare: parenti, paesani, ma anche estranei, attirati dalla stranezza della situazione e dalla possibilità di scambiare idee con una persona tanto speciale da riuscire a vivere in reclusione totale. Questa sua condizione non gli impedisce di trovare le parole adeguate per rispondere alle persone che gli sottopongono i loro problemi, quasi che, l’oscurità in cui si trova gli fornisca la capacità di vedere oltre.

Giosuè, invece, prelevato dal prevosto, è inserito in seminario per divenire uomo di chiesa quale ‘risarcimento’ per l’occupazione del suolo da parte di Giona (suo malgrado), che insiste sul territorio di proprietà della Chiesa, come, del resto, il bosco e il campo dove la famiglia vive e di cui si occupa.

La narrazione, prendendo le mosse da un ‘teatro’ circoscritto e da un avvenimento del tutto casuale, dà inizio a una vicenda di proporzioni epiche, capace di ‘incollare’ il lettore alla pagina per capire tutto quello che può capitare – per un caso fortuito e con modalità opposte – a due fratelli che vivono nella zona collinare di Cairo Montenotte, in provincia di Savona, tra fine ‘700 e inizio ‘800, nella fase di definizione dei confini in concomitanza con la campagna napoleonica d’Italia.

E il caso fa sì che i due – destinati, per nascita e per condizione, ad essere misconosciuti montanari e a vivere una vita di stenti, strappata giorno per giorno al bosco e al pascolo, – vedano il proprio destino modificarsi fino a ribaltarsi, da prospettive diverse e opposte: l’angusto spazio di Giona (potenzialmente senza confini) e il vasto mondo di Giosuè.

Giosuè, destinato ad una vita da analfabeta, scopre la lettura e la scrittura. La scoperta dell’alfabeto e la capacità di leggere risvegliano in lui il desiderio di decifrare qualsiasi testo scritto gli capiti tra le mani, che sia un libro ponderoso o un appunto su un foglietto, dischiudendogli mondi altrimenti ignoti. I casi che gli capitano, dal seminario all’arruolamento nell’esercito napoleonico, ampliano sia la possibilità di entrare in contatto con testi scritti sia l’incontro con terre sconosciute, divenendo la chiave essenziale di tutto il romanzo.

Accade così che il lettore si trovi costretto a seguirne le disavventure che si dispiegano tra vita locale, libri, campagne militari, avventure e disavventure per mare e per terra fino a quando viene arruolato nell’esercito napoleonico, ricevendo l’ordine di attraversare la Francia fino a La Rochelle e all’Ile de Ré, per partire con una missione francese per Haiti (ossia Hispaniola, il nome dal 1492 a tutta la dominazione spagnola / Saint-Domingue il nome nel periodo della dominazione francese) dove era in corso una rivolta contro le dominazioni straniere.

Le disavventure per terra e per mare, gli incontri, la scoperta di luoghi di cui non avrebbe sospettato l’esistenza, non saziano la sua voglia di leggere qualsiasi testo scritto in cui si imbatte durante il viaggio di andata e ritorno, adattandosi e sopravvivendo a situazioni estreme, diventando adulto lontano da casa, e convivendo con situazioni che mai e poi mai avrebbe potuto immaginare.

Il racconto procede per immagini, pause, descrizioni di luoghi, uomini, modi di fare, eserciti, letture, scoperte (ben oltre i boschi e i prati di Montenotte), malattie, morti, fame, fino al ritorno e ad una conclusione del tutto inaspettata.

Grazie al contatto con il mondo della scrittura, Giosuè diviene portatore di due culture, quella orale e quella scritta.  La cultura orale è, infatti, a pieno titolo, cultura e il mondo circoscritto al bosco e al prato può essere oggetto di tradizione destinata ad essere tramandata di generazione in generazione in funzione di memoria del mondo naturale, dei lavori agricoli e di tutte le attività connesse alla pastorizia, delle consuetudini, delle storie familiari, delle capacità artigianali. Tutto ciò avveniva fino alla metà del secolo scorso nel mondo contadino e tutt’ora avviene laddove la scuola non è ancora una consuetudine generalizzata. Nel periodo in cui la vicenda è ambientata, cultura ora e cultura scritta coesistono ampiamente e continueranno a coesistere fino al ventesimo secolo e oltre, seppure in diverse proporzioni nelle diverse regioni del mondo, con le inevitabili trasformazioni dovute all’altrettanto inevitabile contatto tra le due realtà (oralità/scrittura), destinate a coesistere e ad interagire.

Un elenco parziale delle opere citate nel testo, risalenti all’antichità e frutto degli studi degli Illuministi sui testi antichi volti ad indagare la relazione tra tradizione orale e tradizione scritta, rende l’idea della complessità delle questioni con cui Giosuè entra in contatto, forte soltanto della sua voglia di scoprire cosa i testi scritti comunicano:

  • Bibbia, alla quale rimandano i nomi dei due protagonisti, la cui redazione orale risale alla fine del II millennio a.C. 
  • Odissea, VIII – VI sec. a.C., tramandata oralmente dagli aedi e, a partire dal VI -V sec a.C., anche in forma scritta.
  • Friedrich August Wolf (1759 – 1824), con i Prolegomena ad Homerum (Introduzione ad Omero) 1795, aprono la moderna discussione della cosiddetta “questione omerica” sulla quale già gli antichi avevano studiato e discusso per definire quando, come e dove i ‘poemi omerici’ si fossero formati e fossero stati tramandati, cercando di definire nella figura di Omero, i cantori anonimi che hanno composto e tramandato Iliade e Odissea oralmente, di corte in corte e di paese in paese.
  • Francesco Soave (1743 – 1806), I Viaggi d’Ulisse tratti dall’Odissea di Omero, 1796.
  • Gianbattista Casti, (1724 – 1803) Gli animali parlanti, 1802.

Giona è un romanzo che si inserisce a pieno titolo nel numero delle “opere mondo” studiate da Franco Moretti in Opere mondo. Saggio sulla forma epica dal Faust a Cent’anni di solitudine (Einaudi, 1994). Le due opere che compaiono nel titolo del saggio sono, rispettivamente, in versi e in prosa a conferma che, se Alessandro Marenco, autore di Giona, fosse vissuto nel Settecento, avrebbe scritto un magnifico poema.

Scrivendo oggi, l’autore ha scelto la forma romanzo realizzando una “opera mondo” che fornisce la chiave per guardare il mondo partendo da una prospettiva geografica circoscritta, spostata indietro nel tempo di tre secoli. Il tempo giusto per riflettere ad un presente che, proiettandosi ostinatamente nel futuro, sta facendo perdere la capacità di riflettere all’oggi guardando a quanto il passato ha da insegnare.

Si lascia ai lettori del romanzo, il piacere di scoprire l’ultimo libro che viene citato nelle righe conclusive di Giona. Anch’esso, a suo modo, una “opera mondo”.

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