Per quanto possa sembrare strano, il mio percorso verso i colori naturali è iniziato sui libri. E non sui libri dedicati al colore ma sui libri ai quali ho dedicato i miei studi (filologia classica e letteratura greca, in particolare). Come si arriva da questi interessi ‘classici’ ai colori?
I motivi sono stati almeno due.
Il primo è stato Omero, i termini coloristici e la presenza della cultura materiale che serpeggia nei suoi versi (soprattutto nell’Odissea).
Il secondo risiede nella scoperta di autori le cui opere più che propriamente letterarie (quelle più studiate e generalmente proposte nella scuola) sono filosofiche e tecnico-scientifiche. In questa scoperta si è alimentato il desiderio – rimasto tale – di optare per studi orientati al mondo naturale che oggi è evidente nella mia biblioteca.
Questi autori indagano, tra l’altro, sull’origine del colore, sul suo significato, sulle modalità per ottenerlo dagli elementi naturali (minerali, vegetali, animali). È un mondo che spazia in tutti i campi della vita umana e che si presta ad essere analizzato da tanti punti di vista. La summa antica è forse rappresentata dai libri della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio dedicati ai minerali e alla storia dell’arte.
C’è poi un libro fondamentale, scritto da un grande letterato, J. W. Goethe, con uno spiccato interesse per i fenomeni scientifici (mineralogia, botanica e ottica, in particolare) indagati attraverso la storia, La storia dei colori, pubblicato nel 1810 (Zur farbenlebre. Materialen zur Geschichte der Farbenlebre, I ed. italiana Luni editrice 1997). Di lì a qualche decennio dalla sua prima pubblicazione, la chimica avrebbe impresso una svolta decisiva nella direzione dei colori sintetici e avrebbe abituato l’uomo all’uniformità delle sfumature di colore sui manufatti prodotti in serie, relegando le produzione artigianale in una nicchia.
Ecco, la seconda parte di questa storia parte proprio da qui. A distanza di circa 150 anni, è cambiato il gusto, è cambiata la società, è cambiato il mondo. O, meglio, la produzione industriale ha cambiato il mondo. La produzione in serie è divenuta la norma, con tutte le conseguenze che ne derivano (inquinamento, rifiuti, riscaldamento climatico, ecc.)
Ma esiste anche una comunità che guarda con interesse alla chimica naturale dei colori, che continua a produrre in prima persona in modo artigianale e che, per questa via, crea una forma di resistenza al prodotto di serie, fabbricato in un altrove dove il costo del lavoro è bassissimo e le condizioni di lavoro pessime, senza nessun interesse per le sostanze che si diffondono nell’ambiente, inquinandolo. Ed è un altrove abbastanza lontano dagli occhi del consumatore da non turbare i suoi acquisti.
Percorrendo il cammino alternativo, mi sono imbattuta per la prima volta nei colori vegetali nel 2014, quando ho organizzato un corso di tintura della lana con Michela Pasini, nel 2014, nel quadro dell’attività di promozione del territorio, a Navelli (L’Aquila). Conservo ancora gelosamente le schede che Michela ha fatto redigere ai partecipanti in quell’occasione.
Una in particolare mi ha sempre incuriosito: quella dedicata alla reseda. C’è il procedimento seguito e un campione per ognuno dei colori ottenuti con piccole variazioni (temperatura dell’acqua, tempo di immersione e di raffreddamento della lana): giallo (su matassa mordenzata in un bagno di allume e cremor tartaro), giallo sporco (su matassa mordenzata in un bagno di tannino) e, sorprendentemente, un magnifico verde bosco. Quest’ultimo, in particolare, è stato ottenuto immergendo la matassa che era stata nel primo bagno in un bagno di campeggio usato (la matassa è finita in un ‘vestito campionario che indosso sempre molto volentieri!). Ancora ricordo con emozione l’effetto che fece la matassa su tutti i partecipanti quando Michela la fece emergere delicatamente dal bagno dove era stata immersa per il tempo di cottura.
In quell’occasione, ho verificato l’incredibile varietà delle sfumature di giallo e che, in generale, il giallo è il colore più facile da ottenere. Ho anche scoperto che il verde, così frequente in natura in una miriade di sfumature, è quello più difficile. E anche che, in generale, ha bisogno di qualche aiuto (sostanza da aggiungere nel bagno utilizzato, sovrapposizione con altro bagno). La terza scoperta riguarda una sorta di affinità tra il giallo e il verde: il confine tra i due colori è molto labile e dipende dall’esposizione, dalla luce, dal fatto di essere un filato bagnato o asciutto.
Ho anche preso l’abitudine di documentarmi. I libri dedicati ai colori vegetali sono numerosi, molto ricchi di documentazione anche fotografica e, in alcuni casi, sono diventati dei classici. Sono una fonte preziosa di informazioni, da quelli più impegnativi fino a quelli più pratici e immediati. Un’altra cosa che ho capito, durante i miei esperimenti di tintura, è che le variabili sono tante e non sempre il risultato corrisponde perfettamente a quello che ci si aspettava. Il passaggio dalla ricetta alla pratica può sempre rivelare qualche sorpresa.
Quest’anno, a partire dal risveglio primaverile delle piante, ho provato con foglie di carciofo, foglie di frassino e boccioli di papavero, foglie di ulivo, foglie di fico oltre che con bucce secche di melagrane. In alcuni casi, insieme alla lana ho infilato nel bagno anche qualche campione di tessuto, per il gusto di vedere se c’era un risultato, per quanto minimo. Ho ottenuto molte tonalità di giallo (prevedibili), un marrone caldo dalle melagrane (perché ho sbagliato mordenzatura) e verdi più o meno tenui da boccioli di papavero, foglie carciofo e di frassino.
Poi è arrivata la stagione della raccolta e della sfioratura del crocus sativus (seconda metà di ottobre e inizio novembre), la coltivazione tipica di Navelli, dove vivo, e della Piana di Navelli, zona specializzata da centinaia di anni nella produzione della pregiata spezia (lo Zafferano DOP dell’Aquila). Grazie alla disponibilità di quantitativi considerevoli di scarti (fiore viola, foglioline verdi e stami gialli) ho preparato il bagno colore mettendo a mollo nell’acqua un buon quantitativo di scarti (un kg e mezzo circa) e ho dato il via agli esperimenti, forte di quelli fatti qualche anno fa da Michela (con una parte della lana che aveva tinto ho fatto realizzare un twin set).
Partendo da campioni di lana pura naturale di diversa provenienza (matasse ormai scompagnate, avanzi di antiche lavorazioni) e di piccoli campioni lavorati ai ferri, li ho suddivisi in due bagni di mordenzatura, uno a base di ferro e l’altro di allume e Soda Solvay. Con pazienza, un po’ per volta, ho poi disposto i campioni nel bagno di scarti di zafferano, senza mai riuscire a ottenere il verde chiaro e brillante ottenuto a suo tempo da Michela sulla lana usata per il mio twin set. Ho però ottenuto una gamma di sfumature più o meno chiare (quelle su lana mordenzata con allume) e più o meno scure (quelle su lana, mordenzata in bagno ferroso).
Ogni immersione ha dato, di fatto, una sfumatura diversa, a conferma che il mondo della tintura vegetale è bello perché è vario. E che, sicuramente, non è adatto alle persone che amano i colori decisi, uniformi, brillanti, stabili, sintetici e industriali. Il mondo della tintura vegetale è incerto, sfumato, variegato e va apprezzato proprio per queste caratteristiche.
Ora, una volta lavati i campioni con delicato sapone di Marsiglia, potrò fare una ricognizione di quello che ho prodotto e cercare di capire cosa posso realizzare con una campionatura così diversificata (oltre al lavoro ai ferri sarà necessario usare ago e filo per ricomporre le varie parti!).
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Esternamente intetessante, io AMO la natura e più conosco più mi incuriosisce e mi convince che è l’unica direzione che dobbiamo prendere. Trovo i tuoi articoli, molto interessanti.grazie e ciao.
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Pingback: I colori vegetali. Un weekend di sperimentazioni e riscoperta del territorio | Al Borgo Antico – Navelli
Allora… tingere in giallo con la Reseda ti darà sempre (SEMPRE) dei gialli pieni, carichi, vibranti e, di conseguenza, dei verdi che amo definire “petardi”.
Tra poco esploderà la crescita dell euforbia…. una piantina filiforme che ti si gompe la schiena a raccoglierne pochi grammi, fai un esperimento 1:1 euforfia/lana e poi mi dici
i gialli di: fico foglie, cardo selvatico, carciofo selvatico, topinampur fiori, caglio zolfino, asperula tintiria (queste ultime due parenti dflla robbia) e altre erbe povere e vedrai che tavolozza. Se poi vuoi un verde naturale prendi le radici di erba delle rondini (non ricordo il nome) la cui radice è arancione (colore che richiama una sostanza caustica) e puliscila bene, il resto mi sembra tu lo sappia fare.
ciao, buona settimana. Comunque concordo con te… giallo e verde sono un bel campo su cui sperimentare.
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