Tre alberi, tre colori

Qualche mese fa, sono tornata da una visita nella bottega di Silvia con uno scampolo di ‘tessuto’ realizzato in sisal, una fibra vegetale ricavata da una pianta originaria del Messico, l’agave sisalana. 

Il tessuto che se ne ricava, molto maneggevole, si adatta alla lavorazione dei cappelli. 

Silvia conosce la mia passione per i colori vegetali ottenuti con i materiali che ho a disposizione, tra giardino e dintorni. E conosce le mie sperimentazioni su tessuti diversi – scampoli di vecchi torselli, vecchie lenzuola di recupero, in materiali diversi (canapa, lino, cotone) – e su lana. 

Così, torno a casa arricchita: una striscia di sisal e la ricostruzione della storia del cappello di paglia che è stato del babbo, un vero panama Montecristi! 

Oltre ad avere un materiale in più con cui sperimentare, ho scoperto di aver ‘ereditato’ un cappello che dal 2012 fa parte dei ‘patrimoni orali e immateriali dell’umanità’. 

E io sono gelosissima delle mie eredità che hanno solo valore affettivo (sono piccole cose, senza altro valore che quello affettivo, quelle che nessuno degna di uno sguardo e che mi fanno pensare – immancabilmente – alle ‘buone cose di pessimo gusto!’ in L’amica di nonna Speranza di Guido Gozzano). In realtà, a ben guardare, hanno anche un valore storico (risalire alla storia di un secolo, anche, semplicemente, partendo dalle vicende familiari, ha molto da insegnare) e culturale (i libri datati, per esempio, i saggi in particolare, sono l’indispensabile presupposto degli studi più recenti)!

Il risultato è che quando faccio un esperimento di colore, taglio una strisciolina dal tessuto in sisal e la aggiungo al bagno di colore.

Così, una strisciolina è finita nel bagno di mallo di noce.

Un’altra ancora, nel bagno che ho preparato con le cortecce di cerro, recuperate dal carico della legna per il caminetto.

La terza, infine, nel bagno di colore ottenuto dalle pigne del cedro del Libano, colpito da un fulmine e, successivamente, abbattuto da una tempesta di vento. 

Ed eccoli qua, in bell’ordine: il colore originale, quello più scuro (noce), quello intermedio (cerro) e quello più chiaro (pigne di cedro).

Manca, tra i rotolini, il colore ottenuto con il bagno di bucce secche di melagrane. A suo tempo, non avevo ancora pensato a questa presentazione e così il campione è rimasto tra le quaderno degli esperimenti.

Il colore scuro ottenuto dal mallo delle noci si abbina bene con le sfumature più tenui estratte dagli altri materiali. 

In ogni caso, nessuna di queste sfumature a niente a che fare con i colori sintetici. Mi piace l’idea di recuperare il gusto per i colori estratti dai vegetali. È una questione difficile. Ma ha a che fare con la qualità del mondo che vogliamo: non si tratta di tornare indietro ma di trovare un modo per andare avanti. L’ambiente lo reclama a gran voce. E non possiamo più permetterci di non ascoltarlo!

TESTO E FOTO: Rosa Rossi

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