Una mimosa per ogni giorno dell’anno

Quando si pensa al trascorrere di un anno, in questo particolare anno, si pensa in termini di pandemia, di distanziamento, di decreti, di ciò che si può e non si può fare. Abituati ormai da anni, anzi, da decenni, a pensare in termini di disponibilità di qualsiasi cosa e di libertà di agire, spesso anche senza nessun rispetto delle regole, per molti è difficile ripensare il mondo in termini diversi. Eppure, per i più avveduti, lo scenario era ed è prevedibile. Non solo, è uno scenario che potrebbe diventare consueto. E per un motivo molto semplice: la disponibilità non è più disponibile.

Per chi ha fatto scelte mirate, volte a pensare la vita in termini sottomessi (stile di vita e lavoro sostenibile, rispetto della natura e attenzione per l’ambiente), è stato più facile riorganizzarsi in funzione dell’emergenza. Ciononostante, le limitazioni negli spostamenti hanno colpito tutti e tutti ci siamo dovuti adeguare.  

Per me e Michela, da ormai molti anni, era diventato consueto uno scambio tra Romagna e Abruzzo: qualche mia giornata in Romagna per un’immersione nella stampa vegetale con fiori e piante del terreno annesso al suo laboratorio, nei pressi di Santarcangelo; qualche giornata di Michela nel borgo medievale di Navelli, sull’appennino abruzzese, magari ai tempi del raccolto dello zafferano. Una bella tradizione interrotta dal divieto di spostarsi tra regioni. 

Naturalmente, Michela – fautrice degli spostamenti in bicicletta  e di un lavoro a impatto minimo sull’ambiente – ha continuato e arricchito la sua esperienza di ecoprinter. Io – da osservatrice portata a fare esperimenti di tintura della lana (per lavorarla ai ferri) e di stampa (per capi che nulla concedono alla moda) solo con i materiali che trovo nei dintorni, per raccontarli, attenendomi in modo molto attento a tinture e stampe che non richiedano additivi né stratagemmi chimici di sorta – mi sono trovata a corto di idee. 

Fino a quando Michela non ha cominciato a pubblicare foto con i primi fiori della primavera, complice il clima della Romagna. L’indiscutibile fascino dei colori e delle forme trasferiti su tessuto si è amplificato quando sui tessuti sono apparsi i primi rametti di mimosa in fiore.

A quel punto è scattato il desiderio di raccontare la storia, anche se a distanza.

Con uno scambio di foto e chiacchierate, ho ricostruito il lavoro insieme a Michela a partire dalla storia della mimosa che è stata per molti anni sul terrazzo di Michela e  di Marco, sul litorale romagnolo. Quando il vaso non è stato più sufficiente per contenerla, è stata trapiantata nel terreno annesso al laboratorio.

I fiori di mimosa sono tra i primi sbocciare. Se la stagione invernale è mite, i fiorellini cominciano ad affacciarsi molto presto. Quest’anno, quando a febbraio le temperature si sono abbassate anche nella ‘solatia Romagna’, Michela ha provveduto ha ripararla e la mimosa l’ha ricompensata con  una fioritura rigogliosa, senza precedenti. Così è nata la serie di stampe su abiti e sciarpe che si vede nelle foto. E nascerà altro con i rametti che Michela ha conservato per usarli anche da secchi.

La scelta del tessuto è quasi obbligata. La seta  è quella che permette di ottenere i risultati migliori. Quella utilizzata da Michela è di due tipi: seta tussor, una seta vintage compatta e al tempo stesso leggera che, un tempo, si usava per i pantaloni, per gli abiti; seta bourette, derivata dai cascami, ossia gli scarti del processo di filatura delle fibre più lunghe, per le sciarpe (Michela è una instancabile sostenitrice dei tessuti vintage, che recupera nelle fiere, nei mercati nei negozi dell’usato, anche in forma di capi già confezionati che tinge, stampa e, all’occorrenza modifica. Per fortuna li ha accatastati nel tempo, quindi i tessuti non le mancano anche in questo periodo di ‘non fiereì). 

Dopo la fase del fissaggio (in un bagno di allume), Michela ha immerso i tessuti in un bagno di recupero. In pratica li ha tuffati nel bagno in cui aveva tinto i filati di seta e di lana con il legno campeggio, che aveva conservato in vista di un possibile riutilizzo lasciandoli in ammollo, a freddo, per due ore (altra caratteristica di Michela è l’idea di recupero. Qualsiasi cosa avanzi dalla lavorazione di altro, è da lei conservata gelosamente, dal più piccolo ritaglio di tessuto al bagno di risciacquo, che sia una pentolina o uno dei suoi enormi pentoloni da ‘maga’ della stampa vegetale). Il risultato è un viola di fondo, più o meno accentuato.

Su questa base di colore, ha poi disposto sui vestiti e sulle sciarpe, nell’ordine suggerito dalla sua ispirazione di artista, fiori, rametti e foglie di mimosa, margherite africane e foglioline di acero giapponese conservate secche dall’autunno.

Null’altro: nessuna pellicola di plastica, nessuna mascheratura: solo il supporto su cui arrotolare i capi, i materiali vegetali prescelti, la forza delle mani (e ce ne vuole tanta!) per arrotolare e fissare il tutto con i fili recuperati da altre stampe. I ‘fagotti’, così preparati, sono finiti per la cottura in un bagno di colore di legno campeggio. Le maniche dei due abiti sono rimaste libere di fluttuare nel bagno.

Così mi piace raccontare come sono nati i capi delle foto. Non è la stessa cosa che partecipare e assistere di persona all’intero processo ma, complice la stagione, è l’occasione per raccontare una storia alternativa della mimosa utilizzata. 

L’alberello, infatti, è approdato sul terrazzo romagnolo di Michela e Marco, molti anni fa, in occasione della ‘festa della donna’. Quasi un dovere, in una giornata diventata, come tante alte, un’abitudine che nulla cambia nei rapporti di coppia, potreste pensare.

La novità, in questo caso, è che si è trattato di un regalo. Ma l’idea di farlo è stata di Michela. A riceverlo è stato Marco. 

Agli occhi di una persona come me, allergica alle celebrazioni imposte dalle consuetudini indotte dal mercato, dalla ‘necessità’ di festeggiare persone, occasioni e situazioni che dovrebbero corrispondere a sentimenti, a modi di essere fatti di affetto, complicità, comprensione, condivisione, reciprocità e rispetto ma anche (inevitabilmente) di scontri, contrasti, discussioni e  litigi –  anche animati – ma sempre civili e, in ogni caso, mai violenti, questo ribaltamento ha un significato importante. E’ segno di consapevolezza. 

Per questo, insieme a Michela, decidiamo di dedicare la mimosa utilizzata per queste stampe a tutti i giorni dell’anno. Perché non ha alcun senso celebrare la Festa delle donne – che, propriamente, sarebbe La giornata internazionale delle donne – senza che nulla cambi, realmente, nella percezione generale del suo significato. E che, come da tradizione, ‘passata la festa, gabbato lo santo’. E, di conseguenza, regalato (e ricevuto) un ramoscello di mimosa, ci si senta a posto. Non funziona così. Riflettiamoci.

TESTO: Rosa Rossi

FOTO: Michela Pasini

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