Più passa il tempo, più i ricordi sono preziosi. E sono tanto più preziosi perché tendono a sfumarsi, riemergendo sfilacciati dalla memoria. Esattamente come si sfilaccia uno straccio di recupero usato e riusato. Così l’angolo del cucito porta con sé altri ricordi di cose dimenticate e superate dal tempo.
Il telefono, per esempio. Uno oggetto inamovibile, negli anni Sessanta, che aveva trovato posto proprio nel corridoio con lo slargo dedicato alla Singer, sulla parete, probabilmente perché luogo di passaggio, facilmente raggiungibile sia dalla sala sia dalla cucina. Un oggetto di uso limitatissimo, per comunicazioni indispensabili, urgenti, di ‘servizio’ e, data la posizione, assolutamente pubbliche (seppure per il pubblico ristretto della famiglia).

Il cortile, oltre la finestra che illuminava l’angolo della Singer e del cucito. Era dedicato interamente al cane del nonno (il nonno ha sempre avuto per le sue ‘battute’ di caccia uno o due cani). Erano tempi in cui la caccia era ancora una pratica ‘legittima’, soprattutto se si tornava a casa con una grande quantità di cicoria o magari con qualche crucola (il nome locale per indicare la mazza di tamburo – Macrolepiota procera -) o qualche porcino, dipendendo dalla stagione, e, per il nonno, rappresentava il contatto diretto con i boschi, con i campi, con ii prati in cui riconosceva con sicurezza insetti, fiori, animali, che divenivano protagonisti di descrizioni minuziose.


La nonna presiedeva all’angolo del cucito, spesso con una persona esperta che veniva in casa per i lavori più complicati, come presiedeva alle attività della cucina nelle occasioni speciali. In cucina peraltro regnava indiscussa Corona, nel ruolo di governante, con i suoi tempi e i suoi ritmi, presenza indispensabile, silenziosa eppure canterina (per me, l’unica finestra sul ‘mondo’ delle canzonette del tempo, in una casa per il resto silenziosa, dove la televisione è arrivata molto in ritardo, osteggiata pervicacemente dal nonno che ne temeva l’influenza). (Oggi, a distanza di decenni, la sua lungimiranza ha dell’incredibile!)

Poi ci sono i ricordi dei ricordi, ossia quelli che risalgono agli anni precedenti alla mia nascita, divenuti miei solo tramite i racconti – spesso occasionali o appena accennati. Generalmente, parlavano poco i nonni. Ma parlavano con l’esempio (la nonna con il suo lavoro tra le mani, il nonno con il bastone per indicare tutto ciò che si incontrava in campagna, completato dal nome del fiore o dell’insetto o dell’animale a quatto zampe o con le ali).
Per me l’incontro con la nonna si è ‘fissato’ come l’ho raccontato.
Così, mio cugino Tommaso, leggendo il mio ricordo, ha avuto modo di correggere e integrare il mio con il suo, come gli è pervenuto dalla nonna, raccogliendone una testimonianza preziosa:
“… l’ospedale non era un convento ma il seminario vescovile che stava di fronte a casa della nonna – oggi si vedono ancora le croci, una volta erano più sbiadite e si vedevano appena, penso le abbiano ripassate ultimamente in occasione del centenario della fine della guerra -. Il nonno ha conosciuto la nonna perché quando usciva dall’ospedale le finestre della casa della nonna erano al primo piano e c’era uno specchio che rifletteva l’intera famiglia mentre la sera recitava il rosario. Il nonno si presentò al padre della nonna e gli chiese se potesse corteggiarla. Lui acconsenti a patto che dismettesse la divisa. Così me lo ha raccontato la nonna”.
E il nonno, con ormai quasi alle spalle lunghi anni in divisa di ufficiale medico, accettò questa condizione.


Il seminario e la casa, Vicenza
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