Il risveglio della primavera. Storia di un colossale abbaglio

Il punto di partenza per capire un libro e parlarne è rappresentato dalle date. È fondamentale collocare l’autore, la scrittura e la pubblicazione nel tempo. Soprattutto quando il libro è datato. L’iter che in un determinato momento storico ha condotto alla scrittura di un libro è fondamentale.

Rachel Carson ha iniziato la stesura di Primavera silenziosa nel 1958. Il libro è stato pubblicato nel 1962. Dopo due anni, nel 1964, l’autrice moriva per un tumore. Era nata nel 1907, cinquantasette anni prima. Ha deciso di scrivere Primavera silenziosa sulla scorta delle sue ricerche e dei suoi studi. Lei, nata in Pennsylvania, nei pressi degli Allegheny (monti) e dell’Allegheny (fiume), è diventata biologa marina, quando per le donne non era ancora così scontato occuparsi di argomenti scientifici. I suoi studi erano confluiti in un testo (Il mare intorno a noi, 1961, Piano B 2019) che rimane fondamentale per capire lo status quo di un elemento tanto vitale sul finire degli anni Cinquanta. Nel libro confluiscono i suoi studi più che ventennali.

Nella prefazione, l’autrice scrive, tra l’altro: “Sebbene il curriculum dell’uomo come amministratore delle risorse naturali sia scoraggiante, per lungo tempo abbiamo tratto un certo conforto dalla persuasione che almeno il mare fosse inviolato, al di là della capacità dell’uomo di mutare e saccheggiare. Ma questa convinzione si è sfortunatamente dimostrata ingenua … al punto che senza quasi discutere la cosa e quasi senza avviso pubblico, almeno fino alla fine degli anni Cinquanta il mare è stato scelto come luogo ‘naturale’ di seppellimento dei rifiuti contaminati e di altri “scarti di basso livello” dell’era atomica” (p. 10). 

L’ingenuità di cui parla l’autrice mi riporta alla mente un altro libro, scritto un secolo prima (tra il 1857 e il 1861) da Jules Michelet: Il mare (Il Melangolo, 1992). Il mare protagonista di Michelet (1798 – 1874) è ancora affascinante, potente, descritto con minuzia eloquente, retorica e ‘positiva’. È espressione di altri tempi. Il mare, in quel momento storico, ne ha già viste di tutti i colori, per alcune migliaia di anni. Nasconde reperti di navi diverse, ha fatto suoi i naufraghi di ogni paese. Rifiuti ‘sostenibili’. 

Quel mare, protagonista delle pagine di un autore ottocentesco “uomo d’archivio e di scrittoio, affondato nelle carte più che nella vita” non esiste più. Non a caso, Antonio Tabucchi ne Il capodoglio nel Tago, il breve testo introduttivo all’edizione de Il Melangolo, lo definisce “un libro triste” perché “niente è più triste dell’ottimismo quando il futuro lo deride. La lettura di quell’uomo positivo che fu Michelet, assertore convinto del Progresso, paladino della Scienza che cantò a voce spiegata l’inno della Natura, oggi ha l’effetto di uno strumento arrugginito che suona fra i detriti di plastiche che il mare porta inesorabilmente a riva”.

Il saggio di Rachel Carson rappresenta una sorta di contraltare de Il mare di Michelet. È frutto della tristezza che segue gli effetti del progresso, della fuga in avanti del progresso che si è incrinata, inesorabilmente, nel corso di un secolo. 

Il progresso che ha portato l’acqua corrente (almeno in una parte del mondo) alle fontane e ai rubinetti dall’inizio del Novecento, ha caracollato in modo inarrestabile al punto da portare distruzione laddove arrivava. Ha introdotto, nel mare e sulla terra, elementi distruttivi tali da mettere a rischio gli elementi naturali – acqua, aria, suolo – e gli esseri viventi. È vero, basta aprire un rubinetto per avere l’acqua a disposizione. Non è più tempo di brocche. Ma cosa c’è, in quell’acqua? I prodotti della terra – legumi, cereali, verdure – sono ordinatamente esposti nei banchi del supermercato. Ma come sono stati coltivati, quali prodotti chimici sono stati utilizzati, da dove arrivano? E, ancora, quanti hanno accesso all’acqua da un rubinetto?

Fontane, Vignanello (a sinistra) – Vallerano (a destra) (Viterbo)

La sempre crescente consapevolezza di tutti gli elementi di disequilibrio introdotti dall’uomo nella natura ha indotto Rachel Carson (attenzione: nel 1958!) a scrivere il suo secondo testo ‘divulgativo’, Primavera silenziosa. La sua attenzione si sposta dall’acqua alla terra. In diciannove capitoli narra l’avvelenamento sistematico del terreno a partire dal 1942, quando ha inizio l’era del DDT e, in generale, delle sostanze chimiche di sintesi – erbicidi e insetticidi – che si diffondono di pari passo con la monocultura e l’industrializzazione delle coltivazioni, già avviata con l’introduzione delle prime macchine. Complice la guerra, il beneplacito alla sperimentazione e all’uso di prodotti provenienti dalla chimica sintetica. La ‘lotta’ dell’uomo contro la natura, iniziata millenni prima nel lento passaggio da raccolta e caccia a coltivazione, subisce un’accelerata incredibile e incontrollabile. Capitolo dopo capitolo l’autrice prende in esame casi specifici, con dovizia di particolari e di documentazione, raccontandoli con precisione in una narrazione scientifica e al tempo stesso attraente. Non si riesce a smettere di leggere. Ogni singolo caso è un ‘pugno nello stomaco’. Sicuramente contribuisce a prendere consapevolezza: sulla persistenza di queste sostanze nel suolo, sulla diffusione dell’inquinamento, sulla distruzione di animali selvatici, sull’eliminazione sistematica di insetti ritenuti nocivi, sull’inquinamento delle acque (dei fiumi, grandi e piccoli che confluiscono nel mare). Le stesse acque che, evaporando e condensandosi, torneranno sulla terra ‘arricchite’ di elementi inquinanti.  Il territorio preso in esame è quello degli Stati Uniti. La diffusione di erbicidi e insetticidi non ha confini. Per due motivi, sostanzialmente.

Perché i confini sono convenzioni imposte dall’uomo. La natura e gli agenti che l’uomo immette nella natura non li conoscono e non li rispettano. Deve essere l’uomo a rispettare la natura e le sue esigenze. Perché, a partire dalla domesticazione di piante e animali fino al controllo completo sulla natura (ossia alla distruzione sistematica e, idealmente, ‘mirata’ delle erbacce e degli animali ‘nocivi’), ha prevalso la logica del progresso come profitto. L’agricoltura è diventata un’industria, il suo fine è il profitto. Senza tenere conto del danno arrecato all’ambiente.

Il DDT è stato abolito negli Stati Uniti nel 1972, trent’anni dopo l’inizio della sua diffusione scriteriata. L’abolizione in Italia avvenne nel 1978. La messa al bando del DDT non ha significato mettere al bando erbicidi e insetticidi. Ha solo eliminato una parte di un problema che ha continuato a crescere in modo inarrestabile, anche quando i danni sono (ri)diventati evidenti alle persone più attente.

Mai come in questo caso le date parlano: la logica conseguenza dei danni provocati all’ambiente avrebbe dovuto portare a un’inversione di tendenza. Di fatto, ce ne sono stati casi esemplari negli anni Settanta. Un esempio per tutti è quello di Gino Girolomoni, agricoltore biologico, e della Cooperativa Alce Nero (oggi Gino Girolomoni Cooperativa agricola). Ma, per quanto gli esempi possano essere profondi, documentati e appassionati, in generale, la consapevolezza sulla minaccia dell’attacco messo in atto contro la natura continua ad essere scarsa, come afferma l’autrice nel primo capitolo.

Fontane in giro per Vignanello

Leggere oggi per la prima volta Primavera silenziosa è consigliabile. Può essere determinante per modificare in profondità il punto di vista con cui si guarda – distrattamente – alla rovina dell’ambiente di cui, direttamente o indirettamente, siamo responsabili.  È fondamentale per le giovani generazioni proiettate nel mondo del supermercato che non facilita la consapevolezza della provenienza del prodotto. Ma è indispensabile anche per i loro genitori e per i loro nonni. Perché non è facile acquisire consapevolezza di cosa è cambiato, di quanto massiccio è stato ed è l’intervento sull’ambiente, di quanto ciascuno può fare per rallentare il processo di distruzione. Rileggerlo è un modo per fare i conti con il proprio passato.

Nel 1962 avevo 11 anni e le mie estati trascorrevano in campagna, con i pavimenti di cotto da annaffiare prima di spazzare, le mosche sempre presenti (la stalla era al pianterreno della casa, sotto le finestre delle camere; poco distante, c’era la concimaia; l’acqua da bere, attinta dal pozzo, si conservava al fresco nelle brocche). Per quanto ne so, il letame era l’unico concime che si usava. Per certi aspetti un mondo ‘bucolico’, molto lontano, spazialmente e culturalmente, dalla realtà rappresentata in Primavera silenziosa. A conti fatti, sono rimasta pervicacemente ancorata a quell’ambiente e a quella natura, che riproduco in giardino dove le infestanti sono le benvenute insieme alle api e ai bombi che le ‘invadono’. Quando ho letto Primavera silenziosa per la prima volta, alcuni anni fa, ho avuto la sensazione precisa di un colpevole ritardo, quasi che il mondo che avevo conosciuto avesse funzionato, almeno in parte, da paraocchi. 

Villa Lante, Bagnaia (Viterbo) – Cascata delle Marmore (Terni)

Il passaggio definitivo all’industria dei prodotti agricoli è avvenuto, inesorabilmente. La logica del profitto e del mercato ha vinto. Con essa la difficoltà diffusa di guardare alla situazione, l’incredulità sugli effetti di tale logica, lo scherno da parte di molti nei confronti di chi si erge a paladino dell’ambiente e di chi tenta soluzioni alternative. 

Nell’edizione Feltrinelli 2019, il testo è preceduto da una introduzione di Al Gore, vicepresidente degli Usa nel periodo 1993 -2001. Ecco l’incipit: “per chi ricopre una carica elettiva scrivere di Primavera silenziosa è un’esperienza umiliante: il libro di Rachel Carson, pietra miliare dell’ambientalismo, è la prova innegabile di quanto il potere di un’idea possa essere di gran lunga più forte del potere dei politici”.

In quarta di copertina la presentazione del libro inizia con queste parole: “è raro che un libro riesca a modificare il corso della storia, eppure questo saggio è riuscito a farlo”. 

Ora, mi guardo intorno, in questa primavera anomala, e mi domando: ma realmente la consapevolezza sulle questioni ambientali è aumentata? Veramente le questioni ambientali sono diventate una priorità? Veramente tutti sono pronti a rinunciare a qualcosa di artefatto in cambio di qualcosa di semplice e genuino? Veramente siamo tutti disposti a fare un passo indietro per ridistribuire più equamente quello che abbiamo? E, soprattutto, quanti sono i ‘politici’ che si sentono umiliati?

O non è piuttosto vero che in realtà non riusciamo (o non vogliamo) a prendere consapevolezza di un’indispensabile inversione di tendenza, neppure di fronte all’evidenza? 

In questo periodo di isolamento forzato, determinato dall’emergenza pandemia, è divenuto impossibile non vedere l’effetto prodigioso che ha avuto sulla natura la chiusura di attività inquinanti, il ridimensionamento dei trasporti, e così via. E’ evidente che si deve riprendere, che è necessario riaprire e ricominciare a vivere.  Ma è altrettanto evidente che consapevolezza significa prendere atto dei rischi e avere un piano per affrontare le emergenze e per modificare con prudenza e determinazione il caracollare del progresso verso la distruzione. 

È palese, peraltro, che il piano non c’è. E questo nella maggior parte dei paesi, a partire da quelli che hanno più peso sugli equilibri del mondo politico ed economico. 

Leggere il libro di Rachel Carson significa percepire l’abbaglio colossale che è alla base dell’attuale situazione. Ossia non rendersi conto che, per attuare un piano diverso, sostenibile, è necessario fare un passo indietro e riconoscere che la natura, senza di noi, vive benissimo e si riprende i suoi spazi, con facilità e in breve tempo. Siamo noi che, avvelenando la natura, distruggiamo noi stessi. 

L’epigrafe posta dall’autrice ad apertura del testo è una frase di Elwyn Brooks White (1899 – 1985): “Sono pessimista sulla sorte della razza umana perché essa ha troppo più ingegno di quanto ne occorra al suo benessere. Noi ci accostiamo alla natura solo per sottometterla. Se ci adattassimo a questo pianeta e lo apprezzassimo, invece di considerarlo in modo scettico e dittatoriale, avremmo migliori probabilità di sopravvivere”.

È indispensabile un nuovo corso per realizzare un programma concreto di adattamento sostenibile alla natura e di rivalutazione della natura. Le piccole azioni di tutti potrebbero confluire nel piano generale e sostenerlo.   Il condizionale resta d’obbligo, purtroppo. Magari, si può cominciare dalla lettura.

Leggere, o rileggere, con i bambini (ma va bene anche per i grandi), La tela di Carlotta di Elwyn Brooks White, è un piccolo inizio.

Leggere un testo appena uscito (E. Borgomeo, Oro blu. Storie di acqua e cambiamento climatico, Laterza 2020), può divenire un elemento di consapevolezza sullo stato dell’acqua e sul privilegio di poterne (ancora) usufruire. L’ho aggiunto alla lista dei libri da leggere.

Ma la lista è lunga, basta volerlo. 

La lettura può rappresentare un buon metodo per passare a piccoli gesti quotidiani dettati dalla consapevolezza. 

Per le fotografie (cascate, fontane, fontanili e lavatori) ringrazio l’amica Gabriella Piermartini. che le ha scattate tra Terni (le cascate delle Marmore), Vignanello, Vallerano e Bagnaia, in provincia di Viterbo.


L’articolo è stato originariamente pubblicato su Infodem.it il 12 maggio 2020

2 pensieri su “Il risveglio della primavera. Storia di un colossale abbaglio

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