Con l’acqua ancora in mente … (brocche e affini)

L’acqua è una risorsa indispensabile. Parlarne può contribuire a diffondere consapevolezza su quanto sia indispensabile, su quanto sia importante farne un uso moderato, su come e perché sono cambiati i recipienti utilizzati per contenerla e su come questi recipienti siano a loro volta diventati un problema. Per questo dopo averne parlato in Basta una brocca … e in Il risveglio della primavera. Storia di un colossale abbaglio, torno all’acqua con un articolo nato, circa due anni fa, da una riflessione su un comunicato della società che si occupa della rete idrica nella zona in cui abito, nell’Abruzzo appenninico, e dalla lettura di un libro, acquistato in seguito all’ascolto di un’intervista all’autore. Ecco come è andata. 

Il primo fatto è legato alla raccomandazione  la distribuzione dell’acqua – Gran Sasso Acqua SpA – che invita a fare attenzione al consumo di acqua, unitamente al divieto di innaffiare. Da ormai molti mesi, in questa zona appenninica, piove molto poco. Gli effetti si sentono in estate, quando il flusso di acqua può diminuire sensibilmente, soprattutto in alcune aree del borgo. La conseguenza è che in casa recuperiamo sistematicamente tutta l’acqua che usiamo. Anche l’acqua di cottura. Anche quella di un pentolino. E la usiamo per innaffiare.

Il secondo fatto è l’ascolto di un’intervista a Edoardo Borgomeo, autore di Oro bluStorie di acque e di cambiamento climatico (Laterza 2020), durante una recente puntata di Fahereneit (RAI Radio tre). Sono in macchina. Le domande della conduttrice sollecitano la mia attenzione. Accosto e mi fermo per ascoltare con calma. Appunto mentalmente il titolo. Una volta a casa, verifico il curriculum dell’autore nel sito dell’Environmental Change Institute (ECI) dell’Università di Oxford. Il curriculum è ampio e convincente. Così come erano state convincenti le sue risposte nel corso dell’intervista. Ha conseguito la laurea in scienze della terra e ingegneria con particolare riferimento ai rischi legati ai cambiamenti climatici, alla pianificazione delle infrastrutture e alla gestione delle risorse idriche all’Imperial College di Londra e il dottorato sugli stessi temi, con il supporto di Thames Water and the Environment Agency. Il suo attuale impegno di lavoro presso l’ECI consiste nel dare supporto alle agenzie governative di vari paesi nella gestione delle risorse idriche. Decido di ordinare il libro. Al suo arrivo, accantono, momentaneamente, il saggio di Jared Diamond che sto leggendo per immergermi nella lettura, ripensando alle brocche dell’acqua fresca della mia infanzia e al mare raccontato da Rachel Carson, già negli anni Cinquanta.

L’autore racconta nove storie. Ogni storia è ambientata in un luogo diverso: si va dal Bangladesh al Brasile, dall’Australia all’Olanda, da Londra a Karachi, dall’Iraq al Messico per approdare in Italia, in Sicilia. Nel complesso, sono tutte storie che ruotano attorno all’acqua. Ognuna è raccontata sul campo, scaturita dall’incontro con persone del luogo, addetti ai lavori o semplici cittadini. L’autore in veste di esperto si è assunto il compito di documentare le situazioni che verifica in giro per il mondo, redigendo per ognuna un vero e proprio reportage. Da ogni reportage emerge la consapevolezza dello studioso e del tecnico che guarda alle diverse situazioni sapendo di dover individuare i problemi per studiare le soluzioni ma anche la preoccupazione per uno stato delle cose che denuncia la scarsa attenzione nei confronti di un elemento fondamentale come l’acqua.

La cattiva gestione, la noncuranza, lo spreco sono all’ordine del giorno. L’acqua viene trattata al pari di una merce, diventa un affare per chi gestisce la distribuzione, viene incanalata senza tenere conto delle caratteristiche e delle problematiche del territorio. Le conseguenze sono drammatiche per la popolazione, per l’ambiente, per gli effetti che la noncuranza, l’incompetenza o l’azione criminale hanno provocato, provocano quotidianamente e continueranno a provocare sulla vita dell’uomo e sul cambiamento climatico. Ogni reportage apre gli occhi del lettore sulla situazione di un’area geografica o di grandi città (Londra, Singapore, Karachi e Città del Messico).

Di ogni situazione si coglie lo spessore storico: il presente è sempre sostenuto dalla storia di quel territorio e di quella città, che si tratti di dighe, ossia di acqua pulita da incanalare e distribuire (ciò che dovrebbe essere fatto dalle autorità competenti con equità e nel rispetto del territorio) o che si tratti di acqua sporca da trattare opportunamente al fine di recuperarla e riutilizzarla.

In entrambi i casi, i problemi, sotto ogni cielo, sono legati alla scarsa attenzione per la salvaguardia del territorio e agli interessi economici legati a un bene prezioso come l’acqua. Si va dalle problematiche tipiche di zone costiere dove si incontrano – come accade in Bangladesh – le acque salate del mare e quelle dolci dei fiumi con conseguenze drammatiche per la vita delle popolazioni interessate, a quelle legate alla costruzione delle infrastrutture per l’incanalamento delle acque che si trasformano in lotte tra potere politico ed economico.

L’analisi dei casi delinea questioni che affondano nella storia delle singole città, del sistema idraulico su cui si basano, sulle questioni legate alla privatizzazione dell’acqua che da bene comune diviene merce. Senza dimenticare le inadempienze che provocano dispersione e inquinamento delle acque nonché siccità con la conseguente fuga dalle zone più a rischio dei rifugiati ambientali.

Le storie o, meglio, i reportage (raccolti nel periodo 2015 – 2019) raccontano situazioni specifiche e denunciano le problematiche sulla base della competenza tecnica e appassionata di un giovane ingegnere idraulico che si è fatto narratore in nome dei diritti dell’acqua e dell’ambiente. Da questi diritti la vita dell’uomo dipende totalmente. Perché, senza acqua, l’uomo non può vivere. 

Ogni storia merita una riflessione, sollecita un approfondimento e va a costituire un tassello nelle conoscenze del lettore. In alcune storie ho trovato conferma a questioni toccate in precedenti letture. È il caso della prima storia, ambientata in Bangladesh. Mi riporta alla mente una lettura, di tutt’altro segno, in cui l’autore conduce un’analisi dei fattori climatici da un punto di vista squisitamente letterario (Amitav Gosh, La grande cecità, Neri Pozza 2017).  In altre è riaffiorato il ricordo di avvenimenti del passato. È il caso della storia di ambientazione siciliana: Una storia di acqua, di dighe e di mafia, di Danilo Dolci e della lotta per la gestione democratica dell’acqua. Ma anche la storia della diga Garcia e di Mario Francese, colpevole di aver parlato chiaro nell’inchiesta realizzata per il Giornale di Sicilia (1977), costretto al silenzio con alcuni colpi d’arma da fuoco il 26 gennaio 1979 (cfr. F. Barra, Il quarto comandamento, Rizzoli 2011).

La breve presentazione in cui l’autore di Oro blu spiega le motivazioni del suo impegno per l’acqua, si chiude con un’informazione che conferisce un valore aggiunto al libro e un motivo in più per acquistarlo. Il ricavato della vendita è infatti interamente destinato alla Società Cooperativa Sociale Valle del Marro – Libera Terra che si occupa di agricoltura biologica nei terreni liberi dalla mafia (Polistena, RC).

POST-SCRIPTUM

Le foto dei pozzi provengono dal mio archivio personale e sono state scattate tra fine Anni Cinquanta e inizio Anni Settanta nel luogo dove ho trascorso la mia infanzia (tra Viterbo e San Martino al Cimino).

Quelle dei recipienti sono ‘reperti’ familiari di Gabriella Piermartini che li ha ambientati in un interno accanto ad altri reperti, a Vignanello (sulla fontana barocca) e su un’altra fontana a Vallerano.

Le brocche (di terracotta/terraglia/coccio, di metallo ma anche di vetro e di porcellana), i secchi di metallo, ma anche le conche, le pignatte con forme, decorazioni, nomi diversi di paese in paese) sono stati i recipienti utilizzati per contenere l’acqua (e non solo l’acqua), fin da quando l’uomo ha iniziato a forgiare con la propria manualità ciò che ha ritenuto potesse aiutarlo nella vita quotidiana. All’inizio, per bere, poteva bastare raccogliere un po’ d’acqua aiutandosi con le mani o nella coppa ottenuta all’occorrenza da una foglia arrotolata. La brocca (e qualsiasi altro contenitore affine) dava il vantaggio di poterla trasportare e conservare (al fresco!). Poi sono arrivate le bottigliette di plastica usa e getta. E abbiamo rapidamente dimenticato, accantonato e progressivamente eliminato i contenitori tradizionali.

E lo abbiamo chiamato progresso.

Non abbiamo pensato (e, troppo spesso, non pensiamo) alla fine che avrebbero fatto le bottiglie gettate distrattamente nell’immondezza. Qualche decennio è bastato perché il mondo (la terra e le acque) fosse invaso di plastica.

E sono stati necessari gli stessi decenni per far diventare prioritaria l’idea della raccolta differenziata e del riciclo dei materiali. E questo non significa che le modalità di raccolta e di riciclo siano generalizzate ed efficienti in ogni luogo. Né tantomeno significa che tutti siano consapevoli del peso che ha un gesto tanto banale come quello di abbandonare distrattamente una bottiglietta di plastica lungo il suo cammino.

Nota 1. Per studiare l’intera area, corrispondente all’odierno Iraq, alle tre regioni amministrative che, nell’impero ottomano, facevano capo a Mosul, Baghdad e Bassora e, nell’antichità, ad Assiria, Babilonia e Sumeria, si può leggere il capitolo sesto (Medio Oriente) di Tim Marshall, Le 10 mappe che spiegano il mondo, Garzanti 2016

Questo articolo è stato originariamente pubblicato il 22 maggio 2020 su INFODEM con il titolo ORO BLU. Nove storie di acque e di terre.

Il Post Scriptum risale al 3 maggio 2022

La rilettura con piccoli interventi di sistemazione ad oggi 2 settembre 2024

 

 

 

 

 

 

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