Tra i miei pochi lettori, la maggior parte, con ogni probabilità, fa corrispondere il titolo a un oggetto preciso, ancora stabilmente presente in casa. Per qualcuno, forse, corrisponde al ricordo di un oggetto in casa della mamma e della nonna.
Sicuramente, è un oggetto desueto. Anno dopo anno, nel passaggio da una generazione all’altra, si è persa l’abitudine di cucire e riparare in casa i capi di abbigliamento. Molto più facile acquistare capi confezionati, a prezzi accessibili, lavabili in lavatrice e, spesso, senza neppure la necessità di essere stirati. Tutte cose che hanno un costo. A ben guardare, dalle indicazioni presenti nell’etichetta, si riesce a risalire a dove, come e con che cosa il capo è stato realizzato. Ma difficilmente si arriva a riflettere da chi, in che condizioni e a prezzo di quali sacrifici. Se poi, con l’andare del tempo, l’usura e i lavaggi, il capo si scuce, si rovina, perde un bottone o la chiusura lampo si rompe è più facile sostituirlo che ripararlo. Il capo in questione va a finire nei rifiuti, nella migliore delle ipotesi per essere destinato al riciclo (ma non è ancora pratica consueta né uniformemente diffusa). Così, quando mi imbatto, casualmente, in un’insegna che richiama con immediatezza alla mente la scatola del cucito, non rinuncio all’idea di dare un’occhiata da vicino.
È capitato qualche giorno fa durante il viaggio di trasferimento Gran Bretagna – Italia, in corrispondenza di una tappa in uno di quei luoghi dove difficilmente ci si ferma per motivi turistici, Saint Dizier, anche se in realtà il turismo locale esiste e la regione è tutt’altro che priva di interesse. Come tutti i luoghi, merita di essere osservato. C’è sempre qualcosa da scoprire, da osservare e sul quale riflettere. Così, anche se la nostra è solo una sosta, vale la pena fare una ricognizione, per quanto veloce.
Arrivando al nostro punto di riferimento, lungo un rettilineo che dalla periferia ci conduce fino alla piazza principale e che in centro prende il nome di Avenue de la République scorgo al volo l’insegna. Così, durante la passeggiata a piedi – un via vai tra strada principale e strade limitrofe – raggiungo la vetrina con l’insegna La boÎtre a coudre /SINGER.
Prima di tutto ci imbattiamo una chiesa intitolata a Notre Dame (come in ogni cittadina francese), dove entriamo – aprendo con difficoltà una porta in legno che fa resistenza -, trovandoci immersi in un’oscurità quasi totale, in perfetta solitudine e nel silenzio assoluto. Scopriamo, man mano che la vista si abitua, alcuni scorci e opere interessanti.




All’esterno, ci incamminiamo per le vie secondarie alla scoperta di un variegato succedersi di architetture di epoche diverse, provvisorie, incomplete o dirute, come se la storia recente della città fosse intervenuta su quella passata senza nessun programma architettonico. Palazzi e case si susseguono senza logica apparente, inglobando qua e là le facciate tipiche – reticoli di travi di legno o facciate costellate di riquadri di metallo scurito dal tempo. Molte case non sono più abitate, molte ostentano cartelli di agenzie immobiliari. Lungo il percorso, un gran numero di acconciatori / barbieri per uomini e donne, di tutti i tipi, per tutte le esigenze e decisamente multietnici. Perdiamo il conto. La multietnicità non può spiegare la concentrazione di tanti esercizi in uno spazio ridotto. Forse, la giustifica l’attuale tendenza a concentrarsi sul proprio aspetto fisico.





La boÎtre a coudre è davanti a noi. Siamo in ritardo. È già chiusa, secondo gli orari del nord Europa. Mi limito a scattare due foto della vetrina. L’insegna è seminascosta. La scritta Singer ben visibile. Su un lato, il lungo elenco dei servizi disponibili. Residui d’altri tempi che meriterebbero più attenzione.


Sulla via del ritorno, lungo Avenue de la République, costeggiamo il centro culturale intitolato a Camille Claudel (1864-1943). Proseguiamo il cammino, recuperando nei meandri della memoria la difficile vicenda biografica e artistica di Camille: scultrice, allieva e musa di Rodin, vicina per un periodo a Debussy, confinata infine in manicomio fino alla morte.
Chissà se la madre di Camille aveva la sua boÎtre a coudre o se aveva, come era usuale, una sarta che andava a casa per provvedere alla confezione degli abiti e alle riparazioni?
Chissà se Camille aveva la sua boÎtre a coudre oltre ai materiali che maneggiava per le sue sculture?
Sicuramente e tragicamente, le incomprensioni tra le due generazioni dovute alle scelte di vita di Camille sono state all’origine della sua reclusione.
Cucire e scolpire. Attività creative entrambe. L’una rassicurante, l’altra inquietante (inappropriata? Inopportuna? Inadatta?) per una donna. Questioni difficili, foriere di incomprensioni. Tra madre e figlia. Generazione dopo generazione.
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