Non credo di aver mai capito fino in fondo il senso di alcune festività. L’ultimo giorno di un anno e il primo del successivo, in particolare.
La mancata comprensione affonda sicuramente negli anni dell’infanzia. Le festività – corrispondenti allora come oggi alle vacanze scolastiche – erano, propriamente, quelle religiose, celebrate con la devozione usuale, la cena della vigilia e il pranzo della festa nel rispetto delle tradizioni. Per i regali, si aspettava l’Epifania. Un libro o un capo d’abbigliamento e il canonico pezzo di carbone (dolce, a dispetto dell’aspetto) a ricordare ai piccoli il dovere di studiare e di tenere comportamenti corretti.
Vecchie consuetudini passate di moda con gli anni, nel generale abbandono della semplicità, della frugalità e – spesso – anche del loro significato spirituale, diffuso un tempo e ormai definitivamente appannato a favore di usanze che – a ben vedere – sono dettate principalmente quando non esclusivamente dal consumismo.
Per vari motivi che attingono per lo più a quelle lontane origini, i nostri festeggiamenti sono stati sempre molto limitati, indipendentemente dal fatto che da parecchi anni il periodo delle festività invernali si trascorre con la famiglia su suolo inglese dove, come dovunque, è periodo di vacanze scolastiche.
Il momento migliore per mettersi in cerca di spettacoli, mostre o semplicemente musei dove è possibile passare qualche ora scoprendo cose nuove.
Per il primo giorno del nuovo anno la scelta è caduta su una nuova stazione della metropolitana. Mentre lo scrivo, rido tra me e me. Sembra una barzelletta. Come può essere una meta per un giorno di festa una stazione della metropolitana? (e il pensiero corre alla ‘nuova’ – imminente – stazione della metropolitana che doveva aprire ‘in breve’ di fronte al palazzo dove abbiamo abitato per oltre venti anni a Roma, che abbiamo lasciato da venti per il ‘nostro’ borgo abruzzese e che ancora sta aspettando l’arrivo della ‘famosa’ stazione della nuova linea romana della metropolitana).



La stazione in questione – Battersea Power Station – non è solo una stazione e, tra le altre cose, include una pista di pattinaggio che si prenota online, per bambini e adulti.
È l’ultima fermata di una nuova diramazione che dalla stazione di Waterloo arriva a Battersea, passando per Kennington e Nine Elms. Prende il nome dalla più importante Centrale elettrica londinese, la cui storia inizia nel 1929 e continua per buona parte del Novecento con la funzione per cui è nata, per essere poi sostituita da altre centrali e, infine, essere dismessa, mantenuta come edificio storico. Acquistata da alcune società nel 2012, è oggi completamente ristrutturata, integrata in una nuova area abitativa e al nuovo centro commerciale – ça va sans dire – con una indubbia finalità economica. Capitalismo e consumismo vanno perfettamente a braccetto dovunque. Londra non fa eccezione.




L’intero complesso si fa apprezzare per il riutilizzo di strutture architettoniche di pregio, di angoli di storia superati nei fatti ma comunque importanti per la città, per la funzionalità degli spazi realizzati, fruibili dai nuovi residenti, dai turisti e, in generale, anche dai cittadini delle zone periferiche, grazie alla ricchissima rete del trasporto pubblico.



È uno spazio urbano con una destinazione residenziale, costituito di palazzi che si fondono e giocano con i riflessi dell’antica centrale elettrica e aperto alla città e ai turisti, con il vantaggio del collegamento anche su via fluviale, integrato nel sistema del trasporto urbano.
Le nipotine si sono divertite. Noi abbiamo curiosato per ogni dove.
Ho cercato, per quanto possibile, di immortalare e cogliere la fusione di antico e moderno e, in questo gioco di prospettive, l’ulteriore gioco di luci dell’allestimento festivo. Le lampadine giganti suggeriscono l’idea della funzione originaria dello spazio e divengono un’attrattiva nell’attrattiva.

C’è un’altra caratteristica che avrei voluto immortalare. Me ne sono astenuta per la difficoltà materiale di fotografare i cani al guinzaglio, senza l’annesso proprietario all’altro capo.
D’altra parte, perché mai fotografare cani al guinzaglio?
Il motivo c’è e potrebbe confluire in un’analisi di tipo sociologico.
I cani al guinzaglio sono quelli che permettono di individuare a colpo sicuro i residenti. Non sono cani qualsiasi: di una incredibile varietà e di tutte le sfumature, perfettamente tenuti, perfettamente educati, curati nel dettaglio. Un campionario di razze canine delle più preziose che – inevitabilmente – riporta alla mente la parata iniziale de ‘La carica dei 101’. ‘Denunciano’ con immediatezza lo status economico e sociale del proprietario di cui sono il perfetto pendant. Così il mondo è diviso anche dalla tipologia canina che ciascuno può permettersi o anche, semplicemente, dalla possibilità o meno di adottare un cane.



- Leggendo Zena Roncada, Dal terrazzo e piccole fughe, temposospeso 2025
- Leggendo Massimo Castoldi, L’Italia s’è desta. L’inno di Mameli: un canto di pace, Donzelli 2024
- Leggendo AA.VV., Lezioni sull’antifascismo, a c. di Piergiovanni Permoli, Laterza 1960
- Giona (e Giosuè), tra Vaccamorta, Francia e Caraibi: una nuova ‘opera-mondo’ (Alessandro Marenco, Giona, temposospeso 2025)
- Contro l’obsolescenza di (alcuni) libri (parte seconda)