Con l’avanzare dell’età, la necessità familiare di continui andirivieni tra Italia e UK, ci ha portato ad adottare la soluzione del viaggio lento, in macchina. Ogni viaggio, in questo modo, diviene l’occasione per tappe opportunamente programmate lungo il tragitto, in luoghi di interesse culturale e/o storico: Amiens, Colmar, Metz, Dunquerque, Verdun, tra gli altri.
In alcuni casi la tappa è il risultato della lettura di uno o più testi. È accaduto per Amiens, dove siamo arrivati sulla scia di letture e riletture di alcuni tra i titoli di Jules Verne, per visitarne la Casa Museo.
È accaduto di nuovo per il Campo di concentramento di Natzweiler-Struthof (a qualche decina di chilometri da Strasburgo, in Alsazia) destinato, prevalentemente, a deportati politici e partigiani, di diversa nazionalità, scoperto attraverso la testimonianza lasciata da Boris Pahor, triestino di lingua slovena, in Necropoli (1967, Fazi 2008).


A distanza di anni, Boris Pahor è tornato sul luogo che oggi ospita il Centro europeo del resistente deportato, il museo e i luoghi i cui i deportati vivevano, lavoravano e morivano (anche l’ambiente destinato a camera a gas è visitabile, quando le condizioni meteorologiche lo permettono) per rievocare il periodo passato nel campo e le atrocità viste e vissute, divenendo un testimone di quella tragica stagione e, più in generale, espressione della difficile situazione di chi nasce e vive in territori in cui nazionalità diverse convivono, spesso senza capire le rispettive ragioni non disgiunte da occasioni di disprezzo, prevaricazione, scontro, ad oggi mai superate in nome della comune condizione umana e, dunque, sempre drammaticamente in agguato, ieri come oggi.
Così, facendo tappa a Breitenbach, in una tipica casa alsaziana, ospitati con grande gentilezza da Astrid, in una via intitolata a un albero che mi è particolarmente caro, il tiglio (Rue des Tilleuls), affacciata su boschi e prati in cui pascolano caprioli, oche, pecore dal lungo pelo e un asinello, abbiamo affrontato i venti chilometri che la separano dal Campo di concentramento divenuto centro studi e museo, tra boschi di abeti innevati che dovrebbero suggerire le festività ormai imminenti.




Procedendo con cautela, pensavamo di trovarci tra sparuti visitatori, visto il maltempo. Ci siamo invece trovati in un ambiente affollato, con interi gruppi di scolaresche intente a prendere appunti, durante i video, lungo tutto il percorso museale e negli ambienti esterni. È inevitabile interrogarsi sulle impressioni e le riflessioni che la visita suscita in persone di età molto diverse, alcune – come noi – nate a pochi anni di distanza da quegli avvenimenti, molte altre nate all’inizio del nuovo secolo e oltre.




Ed è impossibile concludere la visita senza una sosta nella libreria dove, come sempre in qualsiasi libreria, il problema è scegliere tra i tanti titoli disponibili quello che sicuramente non deluderà e rimarrà ricordo indelebile della visita. In questo caso, escludendo i saggi troppo corposi che sarebbero al di sopra delle mie possibilità in lingua originale, mi soffermo su una ricca esposizione di fumetti. Tra tanti, mi attira la copertina di un album di dimensioni piuttosto grandi, quasi completamente occupata da una tenda di pesante tessuto operato sui toni del verde. Nel lato destro, si staglia la figura seminascosta di una ragazzina su fondo bianco.

Cosa sta guardando? Cosa vede affacciandosi da dietro la tenda con sguardo tra il preoccupato e il pensieroso? Ho come l’impressione che ci sia molto da scoprire tra le pagine di questo libro a fumetti. Sfoglio rapidamente le pagine, capisco che si tratta di una storia familiare ambientata tra il 1937 e il 1944 e che il punto di vista è quello della più grande delle due sorelle; verifico gli apparati posti alla fine del racconto illustrato (una pagina di contesto storico, alcune pagine di glossario, una pagina di ringraziamenti) che garantiscono ricerca e completezza oltre che indubbie capacità di disegno e scrittura. Il fatto di essere un racconto a fumetti mi faciliterà la lettura: conosco il francese per averlo studiato decenni fa a scuola, per averlo esercitato solo occasionalmente dal vivo, per aver letto pagine di letteratura con qualche difficoltà, senza mai perdere la speranza di riuscirci meglio, e di saggistica in modo più agevole, soprattutto nei campi di mio diretto interesse. A fine lettura, mi rendo conto che è stato un ottimo esercizio e che il ricorso al dizionario è stato minimo.
I disegni ricostruiscono un mondo, un’epoca, gli ambienti e i costumi … I dialoghi tra le due sorelle, tra loro e gli adulti riescono a trasmettere le preoccupazioni, le ansie, il dolore, la paura con una capacità di contestualizzare la situazione in modo documentato e preciso (citazioni da canzoni, filastrocche, film sono disseminate lungo tutto testo). Una volta iniziato non si riesce a smettere … e la tenda diviene lo spartiacque tra il noto e l’ignoto per le due sorelle che da bambine si affacciano all’età adulta senza capire quale è il problema di essere nate in una famiglia ‘composita’ (la mamma è ebrea). Si affacciano …
L’unica cosa che non ho notato, al momento dell’acquisto, è stato il nome dell’autore/disegnatore. La sorpresa è stata scoprire un nome italiano: Sara del Giudice. Lì per lì mi sono detta: “caspita, dovrò acquistarlo anche nella versione italiana” (sì, lo so, chi legge sta già pensando che devo essere un po’ fissata! Lo ammetto senza difficoltà).
L’altra vera sorpresa è stata scoprire che, in realtà, ad oggi, esistono la versione francese e quella inglese (Behind the Curtain, Europe Comics 2022), mentre di una italiana non c’è traccia, nonostante l’autrice sia italiana, abbia studiato allo IED di Milano e continuato i suoi studi allo EESI di Angoulême (Francia). Posso solo sperare che questa mancanza sia colmata al più presto. Perché è un libro da leggere per capire, ricordare, riflettere, accompagnare lo studio della storia di un secolo che ha lasciato e sta ancora lasciando i suoi terribili strascichi, pronti a riaffiorare ed esplodere in ogni dove. Dimenticare quella storia significa non voler capire quello che succede oggi. Perché tutti gli avvenimenti del passato lasciano strascichi che possono sembrare spenti ma che una scintilla – qualsiasi scintilla – può riaccendere. Il fatto che la giovane autrice abbia saputo interpretare con il disegno e la parola una delle tante storie accadute in quegli anni è un dono prezioso per tutti coloro che ammireranno i suoi disegni e leggeranno i dialoghi delle due sorelle, cui l’età adulta è stata negata per motivi razziali.

Post Scriptum
Mentre mi documentavo su Sara del Giudice, ho scoperto un’altra autrice e mi sono appuntata il titolo del suo primo illustrato tradotto in italiano, anche questo da non perdere:
Barbara Yelin, Irmina. Quando la guerra ti cambia la pelle, Rizzoli Lizard 2019
- Leggendo Zena Roncada, Dal terrazzo e piccole fughe, temposospeso 2025
- Leggendo Massimo Castoldi, L’Italia s’è desta. L’inno di Mameli: un canto di pace, Donzelli 2024
- Leggendo AA.VV., Lezioni sull’antifascismo, a c. di Piergiovanni Permoli, Laterza 1960
- Giona (e Giosuè), tra Vaccamorta, Francia e Caraibi: una nuova ‘opera-mondo’ (Alessandro Marenco, Giona, temposospeso 2025)
- Contro l’obsolescenza di (alcuni) libri (parte seconda)