Una recensione (quasi) impossibile eppure – involontariamente – molto attuale.
L’idea di recuperare libri introvabili è ormai una mania consolidata. Li cerco nelle librerie specializzate nell’usato, sulle bancarelle, nei mercatini … A volte, li acquisto anche se ne ho una copia recente. E, spesso, anche se conosco a malapena il nome dell’autore.
L’idea di avere una copia della prima edizione mi dà l’impressione di entrare in contatto più direttamente con il testo così come è arrivato ai primi lettori, con la carta ormai ingiallita e magari con appunti e sottolineature del o dei precedenti lettori.
Quando ho adocchiato Ritratto di maggio di Domenico Rea su uno scaffale, non ho avuto dubbi, pur non sapendo nulla del testo, conoscendo l’autore per altri titoli: non doveva trattarsi di un racconto descrittivo e, per così, dire ‘stagionale’ e, sicuramente, avevo tra le mani la prima edizione.
Quest’ultimo particolare lo rendeva senza dubbio un libro difficile da recensire.
È anche vero che le mie recensioni nascono mentre, pagina dopo pagina, cerco di entrare nello spirito del testo e nelle intenzioni dell’autore che ha affidato le parole alla penna o, al massimo, ai tasti di una macchina da scrivere. Naturalmente, mi fa piacere se la storia di quel particolare testo incoraggia qualcuno a cercarne altre copie superstiti.
In corso di lettura, incuriosita dal contenuto, ho verificato se ce ne siano state altre edizioni. Ecco il risultato della ricerca:
- Domenico Rea, Ritratto di maggio, Collana Narratori italiani, Mondadori, Milano 1967
- Domenico Rea, Ritratto di maggio, Collana Narrativa Moderna, con una scelta di racconti, Edizioni scolastiche Mondadori, Milano 1968.
- Domenico Rea, Ritratto di maggio, Napoli, Marotta & Cafiero, 2020
Dunque, il libro è stato ripubblicato anche recentemente, quindi, in realtà, la recensione acquista un suo significato per chiunque si incuriosisca e voglia leggerlo in prima persona.
Di cosa parla? È presto detto: di scuola (del resto, anche la scuola – proprio come la natura – ha un andamento ‘stagionale’!). Ossia di una questione che dovrebbe essere (e dovrebbe essere stata) al centro degli interessi di tutti i cittadini, fin dai primi passi della Repubblica. Senza un sistema scolastico efficiente nessun sistema politico può funzionare, tanto più se esce da un ventennio di dittatura.
È il racconto di un anno di prima elementare in un paese del napoletano, da ottobre a fine maggio, che scorre veloce nei dieci capitoli, secondo le scansioni tradizionali (il primo periodo fino alle vacanze di Natale, il secondo fino a quelle di Pasqua, il terzo fino all’estate che segna le vacanze per i figli dei ricchi e la ripresa del lavoro per i figli dei poveri. In realtà, per questi ultimi, il lavoro non finisce neanche durante il periodo delle lezioni: arrivano a scuola che hanno già lavorato ed escono per riprendere a lavorare, nella maggior parte dei casi). Pur non essendo esplicitato, si colloca nell’immediato secondo dopoguerra.
La classe è formata da 51 ragazzini, rigorosamente maschi, rigorosamente suddivisi dal maestro in base alla classe sociale di appartenenza.
Per suddividerli, gli basta osservare il vestiario, gli basta verificare se sono dotati del ‘necessario’ (libro, quaderni, matita, penne, ecc,), gli basta verificare le scarpe che indossano, se le indossano e che merenda portano o, meglio ancora, se portano da casa qualcosa da mangiare.
I gruppi che si formano nei primi giorni sono destinati a rimanere impermeabili gli uni rispetto agli altri, nella disposizione dei banchi, nelle attività, nelle punizioni (sempre in agguato con una serie diversificate di fruste e frustini ben allineate sulla cattedra), nelle verifiche …
Che il numeroso gruppo dei reietti, figli di tutti coloro che abitano ai margini, che vivono di quel poco che i mestieri più umili dei genitori permettono di raggranellare, imparino non ha alcuna importanza per il maestro al quale preme soltanto di fare bella figura con il direttore e, alla fine dell’anno, con l’ispettore che viene a verificare quanto gli alunni – quelli che contano, gli altri quel giorno sono opportunamente dirottati altrove o invitati a rimanere a casa – per non correre il rischio di essere trasferito ora che ha raggiunto una sede che gli è comoda. In verità, non ha alcuna importanza per nessun rappresentante della gerarchia scolastica. Ne ha per i genitori – almeno quelli che vi intravedono un miglioramento nel futuro dei figli – e, soprattutto, per le mamme che cercano disperatamente di renderli presentabili, rattoppando e adattando vecchi abiti a grembiuli presentabili.
Nel corso della narrazione si intrecciano situazioni patetiche, incredibili, a volte drammatiche: dall’evidente incompetenza del maestro che si limita a trasferire ai figli dei ricchi quel che sa, con metodi approssimativi quando non arbitrari (tanto i figli dei ricchi hanno altre fonti a disposizione e altre possibilità di guadagno nel futuro; che poi i figli dei poveri imparino o meno non ha alcuna rilevanza per la sua carriera … in ogni caso erediteranno il mestiere del padre, se ne ha uno), alle punizioni corporali, agli stratagemmi per nascondere alla vista i più malmessi degli scolari.
La prima impressione può essere che si tratti di un racconto superato nei fatti.
Eppure, se mi guardo indietro (alla mia carriera di scolara – iniziata negli Anni Cinquanta – e poi lungo la travagliata carriera di docente), ho come l’impressione che nella realtà tutto sia cambiato senza che in realtà sia nulla cambiato (né, soprattutto, si volesse, si sia voluto e si voglia cambiare, fatta eccezione per quegli insegnanti e intellettuali illuminati che diedero vita al MCE, Movimento di Cooperazione Educativa nel 1951 e altre voci autorevoli che hanno sollevare una questione tanto importante e centrale per la vita democratica e il futuro di un paese1).
La scuola, da quella primaria a quella superiore, non è mai stata realmente al centro degli interessi della classe governativa, tra leggi fatte in ritardo, provvedimenti dell’ultima ora, formazione della classe docente mai realmente realizzata per non parlare dei criteri di assunzione risoltisi in anni e anni di precariato …
Se poi mi guardo intorno, la situazione non migliora: l’esperienza di anni nei corsi liceali, quella di ‘pronto intervento’ a livello di scuole elementari e medie non confortano …
I risultati sono sotto gli occhi di tutti (almeno, di tutti coloro che hanno fatto dello studio, della lettura, della cultura la loro ragione di vita, preparando ciascuna lezione, selezionando opportunamente i passi classici da tradurre e da leggere, consigliando letture adatte, ecc. ecc.).
Oggi siamo arrivati al punto che il ministro della cultura può permettersi di affermare in pubblico senza minimamente scomporsi2, che: “Colombo va davanti alla Santa Inquisizione e illustra il suo progetto … Colombo sapete non ipotizzava di scoprire un nuovo continente ma voleva raggiungere le Indie circumnavigando la Terra, sulla base delle teorie di Galileo Galilei”.
Ora, basta sapere – e chiunque dovrebbe saperlo, anche i bambini delle elementari – che Cristoforo Colombo ‘scopre’ (le virgolette sono d’obbligo!) l’America nel 1492 e che Galilei nasce nel 1564 per non commettere un errore tanto grossolano.



1. È fondamentale, per avere un quadro della situazione scolastica italiana nel corso del XX secolo, il volume I miei conti con la scuola, cronaca scolastica del secolo XX di Augusto Monti, Einaudi, Torino 1965.
2. in occasione dell’intervento a Taobuk 2024 – Identità italiana, identità culturale, Taormina 23 giugno 2024.
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