(in margine alla lettura di Fabrizio Romagnoli, Delta, Temposospeso. Editoria di resistenza, 2024)
Nella recente recensione che ho dedicato a Delta, il romanzo di Fabrizio Romagnoli pubblicato da Temposospeso. Editoria di resistenza (Casa editrice indipendente con sede a Minceto, nell’entroterra genovese) ho elencato i quattro fiumi che segnano e seguono in vario modo le vicende dei protagonisti (cfr. “La terza sezione è articolata in quattro tempi, intitolati ai fiumi attorno ai quali si svolgono le vicende: Sillaro, Reno, Bidente, Timavo”).
Anche se non ha collegamento diretto con il romanzo, ho trovato modo di citare nella recensione il Rubicone, che scorre a circa duecento metri dalla mia attuale abitazione.
Perché l’ho fatto?
La risposta è semplice: pur non essendo una persona che ha confidenza con l’acqua, dalla quale mi tengo generalmente a debita distanza (a meno che non si tratti della battigia del mare, preferibilmente nei mesi primaverili e autunnali), so quanto i corsi d’acqua siano importanti, quanto sia importante rispettarne il corso, tenerne pulito il letto e le rive, evitare di cementificarle, anche solo in parte … tutte cose che dovrebbero essere ovvie e che, oggi, purtroppo e troppo spesso, non lo sono ancora o non lo sono più.
Così i quattro fiumi che Fabrizio Romagnoli ha posto come titolo delle quattro sezioni della terza parte del suo romanzo mi sono rimasti in mente fino a quando ho realizzato che per alcuni anni della mia vita di ragazzina ho vissuto vicino a uno di loro, il Timavo, nel periodo di tempo compreso tra il secondo trimestre della prima media e il secondo trimestre del quarto ginnasio, che ho frequentato a Trieste.
Con sicurezza ricordo Duino, dove il Timavo riemerge, dopo un tratto sotterraneo, e vari scorci sul golfo di Trieste, in direzione Miramare, così come le ‘scampagnate’ oltre confine da dove si tornava con il pieno di benzina, alimentari di vario genere e, magari, un mazzolino di fiori, acquistato da un bambino o una bambina ai margini della strada.
Il percorso del Timavo inizia, infatti, su un monte al confine tra Croazia e Slovenia, prosegue tra i territori delle due nazioni, fino a inabissarsi nel territorio carsico per riemergerne a soli due km dal golfo di Trieste, in territorio italiano. Allora, oltre confine il paese era un unico paese (Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia o, semplicemente, Jugoslavia) e anche chi era contrario alle idee socialiste del paese non perdeva occasione per ricavarne un profitto. Io e i miei fratelli, accatastati nel sedile posteriore di una scomodissima Renault 4, non credo avessimo consapevolezza del significato politico e sociale di quel confine. Di certe cose non si parlava, né a casa né, tantomeno, a scuola.
Ma c’è un altro fiume che realmente ‘non si vede’ nei miei ricordi di bambina degli Anni Cinquanta. Affiora nelle conversazioni in casa dei nonni, nel ricordo di passeggiate con i nonni da casa fino a Piazza del Teatro e all’imboccatura di Via Marconi e lungo il Corso, a Viterbo, dove, qualche anno prima scorreva a cielo aperto, l’Urcionio.
Definirlo un fiume è forse esagerato: è più un torrente che, da varie sorgenti alle pendici della Palanzana (il monte situato pochi chilometri a ovest di Viterbo, isolato rispetto ai Monti Cimini, che caratterizza il panorama della città) scorrendo per lo più sotterraneo, arrivava in città, percorrendola a cielo scoperto e raccogliendone, ancora fino ai primi decenni del Novecento, gli scarichi.
E, dunque, quando si passava di lì, immancabilmente si ricordavano i lavori per ricoprirlo con una larga via che da Piazza del Teatro arrivava (e arriva) fino al Sacrario. E in quella strada ricordo di aver visto passare i carri allestiti per Carnevale. Ma, soprattutto, ricordo alcune passeggiate lungo le pendici della Palanzana, sempre con i nonni, fino a un fontanile (probabilmente proprio una delle sorgenti del fiume che non si vede!).
C’è poi, a più riprese, nell’arco dei miei primi trenta anni e, poi, in modo continuativo per i successivi venti, il Tevere. Ma il Tevere è una presenza / assenza, più visibile per i turisti che per i cittadini comuni che lo vedono se sono costretti a percorrere il lungotevere per le necessità di spostamento o nei rari casi in cui decidono di arrivare in centro con i mezzi pubblici e proseguire con un itinerario a piedi.
Piuttosto il fiume che ho attraversato centinaia e centinaia di volte (tra la via Nomentana, Viale Libia e Via Salaria) è stato il suo affluente, l’Aniene che nasce tra Abruzzo e Lazio, in provincia di Frosinone, arriva a formare le cascate di Tivoli e confluisce nel Tevere nella zona dei Prati Fiscali, tra Via Salaria e la Circonvallazione. Difficile badare al fiume, quando ti muovi per necessità, usando la macchina perché con i mezzi pubblici significava non avere nessuna certezza di arrivare, sempre in attesa del fantomatico prolungamento della metropolitana che avrebbe avuto la sua ultima stazione proprio di fronte allo stabile dove abitavamo (e che a oggi, a distanza di circa venti anni, è ancora ferma subito oltre il ponte di Viale Libia).
Non posso, infine, non considerarne ancora un altro, di dimensioni molto ridotte sia per lunghezza che per portata. Si chiama Tafone, nasce in Toscana nel comune di Manciano ed entra nel Lazio nel territorio di Montalto di Castro, segnando il confine tra la provincia di Grosseto e quella di Viterbo, ossia tra Maremma toscana e Maremma laziale. Un fiume insignificante, con i suoi 25 chilometri, ma per me importantissimo: per alcuni anni, vi ho passato alcuni giorni di vacanza con gli zii e i cugini, pescando insieme allo zio, cucinando il pescato insieme alla zia e arrivando fino alla spiaggia con i cugini lungo un sentiero appena visibile lungo il corso del fiume, tra la vegetazione tipica della costa tirrena. Giornate indimenticabili di un’adolescenza degli Anni Sessanta spesa tra campagna viterbese, scampagnate in direzione Lago di Vico, rive del Tafone e spiaggia tirrenica.
Tutti mondi da scoprire.
Tutti mondi che alimentano i ricordi di una vita.
Nella prima foto l’Aniene come si vede passando in macchina, nelle altre scordi di fiumi diversi e due immagini di fontane viterbesi.






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