Di cucina in cucina … tra libri e memoria

Una volta ci si perdeva tra le carte (libri, quaderni, blocchi, fogli sparsi …).

Oggi ci si perde negli archivi digitali. Non è facile orientarsi né tra i primi né tra i secondi per chi, come me, accumula letture su letture e appunti su appunti, nell’uno e nell’altro formato.

Accade così che riemergano libri e scritti accantonati, magari mentre si cerca altro.

Così mi è capitato tra le mani un articolo, – Ricette di cucina vecchie di cento anni. Una storia italiana – ormai datato ma ancora attuale, nato nel 2018 grazie all’incontro con Roberta Chioni, artista tessile, avvenuto nel corso di alcune ricerche sulla tessitura e sulle attività artigianali legate a filati e tessuti (una delle mie manie, indagata attraverso i testi, dai poemi omerici in poi …).

Come sempre più spesso capita, si inizia parlando di una cosa specifica per poi scoprirsi in sintonia anche su altri piani.

Tra una chiacchiera e l’altra, scoprimmo di avere qualcosa in comune: i nostri nonni hanno partecipato alla prima guerra mondiale, con ruoli diversi (sottotenente il suo, tenente medico il mio) e provenendo da luoghi diversi – il suo da Genova, il mio da Viterbo -, ed entrambi sono tornati nelle rispettive case, con i loro ricordi degli anni di guerra ben custoditi, senza peraltro parlarne volentieri, neppure a distanza di anni.

Entrambi hanno affidato alla carta i loro ricordi, senza pensare alla pubblicazione.

In entrambi i casi, solo la scomparsa dei rispettivi nonni ha fatto riemergere le carte dall’obblio.

Né io né Roberta sappiamo se veramente il recupero di queste memorie sarebbe stato gradito fino in fondo. Peraltro, aggiungere ricordi ai tanti che furono pubblicati già a ridosso delle fine della guerra, contribuisce ad arricchire la memoria, magari da un’ottica diversa.

Sicuramente inusuale è la memoria affidata dal nonno di Roberta ai fogli dove ha registrato meticolosamente i ricordi e i ‘sogni’ gastronomici dei compagni di prigionia in Germania, che per passare il tempo e non pensare alla fame o, forse, per esorcizzare anche solo il pensiero del cibo che lo stomaco reclamava, si raccontavano le ricette della tradizione culinaria dei paesi da cui ciascuno proveniva, di regione in regione, da un paese all’altro della penisola.

Ed ecco il racconto di come Roberta è riuscita a ricostruire la storia di questo ricettario, grazie all’interessamento dell’Archivio Ligure della Scrittura Popolare e del Museo Storico di Trento, fino alla pubblicazione – unitamente al ricettario di Giosuè Fiorentino – nella collana Ricettari della gente comune (Agorà Libreria Editrice, Feltre, BL 2008):

Un blocchetto di fogli di carta giallina, vergati a matita, densi di ricette e con il titolo aulico “Arte Culinaria” sul frontespizio, era uno dei pochissimi cimeli di famiglia non epurati da mia madre, amante del nuovo. Lei, ormai vedova, per rispetto alla suocera che li teneva come cosa sacra, non aveva osato buttarli via.  Mi sono quindi incaricata io di conservarli.  Ricordavo i racconti del nonno, mancato quando avevo 9 anni, sulla sua prigionia in Germania durante la prima guerra mondiale. Nel frattempo, c’era stata una guerra più recente da ricordare, o meglio, da dimenticare.

Oltre 200 fogli a righe, vergati a matita, che riportavano ricette di cucina ordinate in capitoli e preannunciati da frontespizi disegnati che promettevano cibi succulenti. Intuivo che il documento fosse particolare, ma non mi convinceva il luogo di compilazione. All’epoca conoscevo solo Celle in Liguria, e solo una coincidenza fortuita mi ha informato dell’esistenza di una Celle in Germania: il gemellaggio tra le due città, avvenuto proprio negli anni in cui curavo una rassegna annuale di Arte Tessile, a Celle Ligure.

Da quel momento ho compreso che il documento era attendibile e, forse, importante. Ho pensato così di sottoporlo allo storico Antonio Gibelli che aveva fondato nel 1986 l’Archivio Ligure per la Scrittura Popolare, presso l’Università di Genova.

All’Archivio, che ora conserva la copia digitale del documento mentre la famiglia costudisce il manoscritto, l’interesse è andato crescendo, a partire da un primo articolo a firma di Fabio Caffarena, che ora lo dirige. In seguito è stato presentato in convegni e manifestazioni e quindi conosciuto da studiosi anche stranieri. John Dickie, storico londinese, ha dedicato al ricettario molte pagine del suo libro sul gusto degli italiani, uscito nel 2007 e edito in tutto il mondo, definendolo “un testo in grado di contendere alla scienza in cucina di Pellegrino Artusi la palma del miglior ricettario ma scritto fino ad allora”.

Quasi contemporaneamente l’Università di Trento lo inseriva nella collana di ricettari popolari, con il titolo “La fame e la memoria. Ricettari della Grande Guerra Cellelager 1917-1918”. 

Il nonno, nato nel 1895 a Genova, venne chiamato alle armi nel 1916 e nominato sottotenente nel 1917, anno in cui venne ferito alla testa e poi fatto prigioniero.

È proprio in una baracca del lager di Celle (Bassa Sassonia) che, aiutato dal collega Luigi Marazza, compila il ricettario tra gennaio e febbraio 1918. Il punto di partenza è la fame: “se si pensa ai lungi digiuni che ci costringono a stare rannicchiati per sentire meno i crampi della fame, a non muoverci intere giornate onde sprecare meno energie” cosi “sembrerà naturale come ognuno sognando il domestico focolare abbia ricordato le squisite pietanze e gli intingoli appetitosi preparati dalle mani premurose e delicate della mamma o della sposa lontana”.

Il manoscritto tutto, ma la prefazione in particolare, da cui proviene il virgolettato, ha commosso tutti coloro che lo hanno letto.

Immaginare questi giovani, che ora sarebbero considerati poco più che adolescenti, che si trasformano ” da guerrieri in cuochi” e cercano di sopravvivere psicologicamente e fisicamente alla prigionia, ricordando e cesellando con la scrittura ogni cibo assaggiato, arricchendolo di grassi e ingredienti, è un colpo al cuore.

Mio nonno, per sua fortuna, sopravvisse e fu rimpatriato nel 1919, anno in cui conobbe la futura moglie Nicoletta Elice, come testimoniato dalle numerosissime cartoline appassionate che i due si scambiano in soli due mesi. 

Un uomo molto sentimentale il nonno, ma anche molto ironico. In prigionia scrisse a se stesso una cartolina da ritrovare al ritorno dalla guerra, augurandosi, appunto, di essere tornato”. Roberta Chioni

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