Tra le bancarelle, la prima domenica del mese di maggio, all’angolo tra Piazza Amati e Corso Vendemini, Savignano sul Rubicone.
Una signora ha esposto oggetti e libri. Non è contenta di darli via, mi confessa, ma lo spazio ha logiche ferree che non sono quelle della mente e del cuore.
Ne adocchio due, collocabili entrambi nella categoria necessità di non dimenticare il passato (del proprio paese – l’Italia del titolo – e degli altri in generale, soprattutto se la loro storia si interseca con quella del nostro).
Ecco i titoli:
Giovanni Arpino, Le mille e una Italia, Einaudi 1960 (1973 3° ristampa)
Dee Brown, Seppellite il mio cuore a Wounded Knee, Mondadori 1970 (1981 3° ristampa)
Sono diventati miei per ‘pochi spiccioli’. Ma il valore in termini di cultura è notevole in questo momento storico in cui l’obblio sembra divenuto un imperativo. Pur avendo al mio attivo una grande quantità di titoli della letteratura italiana novecentesca e una buona conoscenza della saggistica relativa al continente americano, non li conosco. Per questioni anagrafiche, cronologiche e professionali, la precedenza spetta al primo, Le mille e una Italia, in ventitré capitoli e attraverso millenni (dai racconti dell’Odissea al traforo del Monte Bianco, iniziato nel 1959).
L’intera narrazione prende le mosse dal lungo viaggio che un dodicenne siciliano – Riccio – intraprende per raggiungere il padre che lavora con le maestranze assunte per il traforo. Parte a piedi e senza nulla, se non la determinazione di lavorare per mantenersi durante il tragitto e, una volta giunto a destinazione, farsi assumere nel cantiere per aiutare il padre a mantenere la famiglia.
Da un paese siciliano imprecisato, Riccio è arrivato ai piedi dell’Etna e ai bordi dello stretto. Ha inizio così il viaggio durante il quale il ragazzo, tappa dopo tappa, chiede aiuto alle persone che incontra per chiedere informazioni, rendendosi disponibile ad aiutarle nel lavoro che stanno svolgendo in cambio di un pasto, di un luogo dove dormire, di una ricompensa per il lavoro di qualche giorno, di indicazioni sul percorso da prendere lungo un itinerario non sempre lineare.
Incontra contadini, operai, artigiani di ogni genere che, in cambio dell’aiuto, lo ricompensano con il poco che hanno (un frutto, un po’ di zuppa, pochi spiccioli …).
Già queste indicazioni fanno del viaggio – lungo, pericoloso, faticoso – un romanzo di formazione: Riccio parte determinato a raggiungere il padre e, di tappa in tappa, acquista la consapevolezza di un adulto.
Ma c’è molto di più. Di tappa in tappa, Riccio non incontra solo persone comuni, intente alla loro quotidiana fatica, ma anche personaggi illustri del passato remoto e del passato recente, legati in qualche modo ai luoghi che sta attraversando e che arricchiscono il viaggio con i loro racconti dei fatti di cui sono stati protagonisti o spettatori e che hanno segnato i luoghi e la storia della penisola.
In questo modo, il romanzo non è soltanto la vicenda di una crescita consapevole e di una maturazione già insita nel carattere del giovane protagonista ma diviene l’occasione di una formazione culturale e storica che si arricchisce di personaggi, avvenimenti, pensieri, ragionamenti, partecipazione a vicende storiche dal più lontano passato fino a quello recente.
Tutto questo tramite l’inserimento di incontri che spostano – idealmente e continuamente – la narrazione su piani temporali diversi. Dall’incontro con Giovanni Verga (1840 – 1922) – che fornisce a Riccio le indicazioni per arrivare sulla costa e quella di affidarsi a Luigi Pirandello (che gli dà la possibilità di osservare la penisola dal ‘basso’ (Sud) verso l’alto (Nord) prima di attraversarlo) – all’incontro con Piero Gobetti (1901 – 1926), rappresentato come guardiano ad Aosta della Torre del Lebbroso (di cui Cristoforo Colombo è il prefetto, Giacomo Leopardi il bibliotecario, Gaetano Salvemini l’archivista) in cui si immaginano reclusi personaggi che, in tempi diversi e in ambiti diversi, hanno pervicacemente perseguito la ricerca della Verità.
La narrazione, costruita attorno al continuo intrecciarsi di piani culturali e all’incontro con personaggi resi statici nei libri di storia e riportati in vita nel loro ambiente e nell’interazione con Riccio dall’abilità del narratore, fornisce l’occasione al giovane lettore (il romanzo è stato pubblicato nella collana Einaudi dedicata alle Letture per la scuola media con il n. 27) di conoscere una storia personale (quella di Riccio) intersecata alla storia italiana attraverso i secoli, di prendere consapevolezza delle trasformazioni, dell’importanza del passato alla luce del presente, di acquisire cognizione precisa su quello che lo circonda.
Indicazioni utili per mettersi sulle tracce di Le mille e una Italia e leggerlo come guida per il presente
Se è vero che la prima edizione di Le mille e una Italia risale al 1960, è altrettanto vero che il suo contenuto è ancora straordinariamente attuale.
La storia non passa di moda. O sì?
Cerchiamo di capirlo a partire dalla storia editoriale del volume.
La prima edizione è stata ristampata almeno quattordici volte, fino al 1990.
Segno che nel corso di trenta anni i docenti della scuola media lo hanno adottato o, almeno, consigliato.
Per una nuova pubblicazione bisogna arrivare al 2017, quando la Casa editrice Lindau https://www.lindau.it/Libri/Le-mille-e-una-Italia ne propone una nuova edizione, ancora in commercio (anche in versione online) ma ormai assente dal sito della casa editrice. Ciò significa che esistono ancora copie cartacee in circolazione, probabilmente in via di esaurimento.
A distanza di sessantacinque anni qualcosa è cambiato. Ammesso che sia stato letto a scuola con le dovute spiegazioni da parte degli insegnanti e il conseguente interesse da parte degli alunni, dopo il 1990 il titolo in questione è stato dimenticato finendo, in molti casi, sul mercato dell’usato, come la copia che ho sulla scrivania (completa di appunti presi da un alunno/a).
Nel corso di trenta anni (tra il 1960 e il 1990) ha probabilmente contribuito alla formazione di qualche migliaio di adolescenti. Una formazione ad ampio spettro, per come l’autore ha concepito e realizzato la narrazione a partire dalla quale il lettore ha la possibilità di studiare – in presa diretta – storia, lingua e letteratura, geografia ma anche storia dell’arte, della tecnica, della società e delle classi sociali attraverso i secoli. E sicuramente anche altro.
Perché, dunque, se offre tutte queste possibilità, è stato accantonato?
Ipotizzo una risposta dal punto di vista di una professoressa di materie classiche ormai in pensione da tempo, recuperando il punto di vista della bambina di nove anni che nel 1960 era ancora alle elementari, che è entrata alla scuola media senza sapere che era frutto di una riforma recentissima e che nel suo percorso scolastico non ha saputo nulla di questo libro ma è stata costretta a più riprese (alle elementari, alle medie, al ginnasio) a memorizzare date e nomi senza spiegazioni su cosa fare di queste nozioni e su come collocarle utilmente nella linea del tempo e nel contesto attuale.
In questo modo si è radicata nell’alunna degli Anni Sessanta la convinzione che quelle nozioni potevano diventare importanti se opportunamente contestualizzate nello spazio e nel tempo e, alla fine del percorso liceale, ha scelto di studiare lettere classiche per capire – finalmente – a cosa e come avrebbe potuto utilizzare tutto ciò che aveva incamerato negli anni di scuola.
Con questo bagaglio di letture e strumenti acquisiti e affinati nel dipartimento di Filologia classica, si è affacciata al mondo della scuola, trovandosi costretta a ripensarlo alla luce di insegnamenti adatti al mondo universitario ma assolutamente inadeguati per il ginnasio e il liceo, e – per di più – in una realtà di concorsi banditi a singhiozzo, con regole continuamente mutevoli e in continua precarietà lavorativa, tra una supplenza e l’altra e, dunque, dovendo usare libri adottati da altri, fino al Concorso a cattedre. Dunque, anche in questi anni, non ha avuto l’occasione di incontrare le mille e una Italia.
Quando le sue figlie si sono affacciate alla Scuola Media erano gli Anni Novanta e il titolo in questione aveva avuto la sua ultima ristampa e nessuno dei loro insegnanti lo ha proposto. Un’altra occasione persa.
Con l’entrata in ruolo e la conseguente continuità didattica, è arrivata la possibilità di compiere scelte ragionate sugli scritti latini e greci, anche con la possibilità di leggerli individuando e segnalando ciò che contengono in funzione della comprensione del presente. Senza trovare l’occasione e il tempo di incontrare le mille e una Italia.
Quando, con la fine dell’impegno in classe, la lettura è tornata a occupare le sue giornate, la prospettiva sulla scelta dei testi è cambiata e si è ampliata.
In questa selezione ampliata è entrato prepotentemente I miei conti con la scuola. Cronaca scolastica italiana del secolo XX, Einaudi Editore, 1965 di Augusto Monti (1881 -1966) (che ha citato in Domenico Rea, Ritratto di maggio, Mondadori, Milano 1953; Marotta & Cafiero, Napoli 2020 Una recensione (quasi) impossibile eppure – involontariamente – molto attuale. un libro che dovrebbe essere parte integrante del percorso formativo di qualsiasi insegnante, indipendentemente dal tipo e dal livello di scuola in cui lavorerà, perché prende le mosse dall’esperienza di un docente che ha vissuto nel secolo scorso fino alla scuola degli Anni Sessanta, dove hanno origine le grandi questioni legate all’istruzione pubblica fino ad oggi. Su tutte, il vero, grande problema è: qual è il percorso formativo degli insegnanti di cui l’Italia repubblicana si è dotata?
In questo interrogativo si annidano le motivazioni profonde per leggere le mille e una Italia, anche indipendentemente dall’età anagrafica. Se infatti si riflette oggi alla sua storia editoriale e, dunque, al fatto che sia circolato solo per un pubblico ristretto e in calo costante negli anni, nonostante l’indubbia potenzialità pedagogica e didattica, si può contribuire a spiegare la perdita di coscienza civica, la perdita del senso e del valore delle istituzioni, l’obblio della Carta costituzionale che si va diffondendo tra la popolazione e il serpeggiare di atteggiamenti arroganti volti esclusivamente al benessere personale e all’affermazione del singolo.
Dove cercarlo?
Nella biblioteca più vicina alla vostra casa (anche con il ricorso al prestito interbibliotecario)
Nelle librerie dell’usato
Nei grandi empori dell’usato
Nelle bancarelle
Nei mercati antiquari
Dovunque capita di vedere libri in ordine precario o, semplicemente, in disordine!
Frugate, frugate … e, se vi capita, fatelo vostro!




E perché non provare a riconoscere il percorso di Riccio su una cartina muta della penisola? Tanto per verificare se e quanto conosciamo il nostro paese?

Nell’attuale bulimia editoriale vengono rapidamente dimenticati testi del passato recente o meno recente che però mantengono ancora elementi di interesse. Un bel guaio! 🤨
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Ogni volta faccio un viaggio grazie a te!
Io penso che i ragazzi per imparare dovrebbero studiare proprio così. Partire da un testo e fare un lungo viaggio!
Purtroppo la scuola, così com’ è, non da la possibilità di fare questo. A me sembra una scuola fatta per rispettare i programmi, riempire memorie, non appassionare a qualcosa (salvo qualche predisposizione personale)….
E la cosa peggiore non avvicinare alla lettura!!!!
Sicuramente il tuo è un articolo interessante e che fa riflettere….. sarebbe bello intervistare qualche studente che nel corso degli anni si è cimentato con questa lettura per capire se il percorso nella storia è stato per loro efficace ed interessante o se è stato uno dei tanti libri letti giusto per fare contento il prof ( sono stata studentessa anch’io 🤣😉).
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Alla luce delle tue osservazioni, trovo l’intuizione di Giovanni Arpino affascinante… sia nella sua formulazione originale (come valutare l’attualizzazione negli anni ’60 di quegli autori?) sia, magari, in una nuova attualizzazione capace di utilizzare tutti i mezzi messi a disposizione dall’intelligenza artificiale…
Si potrebbe leggere Le mille e una Italia e riprovare a dar voce ai suoi personaggi nel contesto attuale… perchè quelle voci andrebbero conservate così come sono presenti nel libro e perchè invece andrebbero modificate alla luce dei pregiudizi (in senso Gadameriano!) di Giovanni Arpino?
Le mille e una Italia sembra essere un imponente lavoro di ermeneutica… una sua rilettura aiuterebbe ad arricchire quella storia della tradizione… indispensabile per comprendere in che modo certe opere giungono fino a noi…
Oggi si ha l’impressione erronea che un’opera letteraria raggiunga le nostre mani con l’inchiostro fresco uscito dalla penna dell’autore… niente di più falso…
Sì, il suo contributo va ben oltre l’obbiettivo di preparare un’assimilazione più consapevole degli autori-personaggi del libro negli anni di studio successivi alla scuola media… Tocca invece il tema del potere di ogni scritto di attualizzarsi tutte le volte che gli diamo voce…
(si tratta di un processo molto conosciuto per esempio da chi studia i testi biblici e la loro intepretazione lungo i secoli)
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